–  Nina Kouprianova –

“La Russia e l’Ucraina non esistono come entità separate, ma come una sola Santa Rus’” – Iona il Vecchio da Odessa

Nel corso del 2014 abbiamo assistito ad una ondata di patriottismo senza precedenti nella storia russa contemporanea, che ha prodotto la creazione della idea di “Mondo Russo”. Una delle ragioni della crescita del sentimento patriottico è stata il ritorno della Crimea al porto amico dopo il diluvio di voti favorevoli da parte della sua maggioranza di residenti Russi nel referendum dell’anno passato. L’altra è stata lo slancio della guerra di liberazione dal regime di Kiev sostenuto dall’Occidente nel Donbass. Questa guerra ha veramente delineato i contorni dell’esistenza del “Mondo Russo”. Quest’ultimo non è una categoria etnica, ma attinente l’essenza della civiltà, e comprende una cultura condivisa, una storia ed una lingua nello spazio Eurasiatico, il tutto inquadrato in un contesto tradizionalista. In un certo senso e nonostante le ovvie differenze ideologiche, l’Impero Russo e l’Unione Sovietica hanno incarnato la stessa entità geopolitica. Un aspetto particolarmente degno di nota della crisi in corso nel Donbass è il simbolismo storico religioso, che supera lo spettro politico destra sinistra ancora in uso ma ormai obsoleto. Nel contesto russo, questo comporta il superamento della divisione Bianchi – Rossi che ha contraddistinto la rivoluzione comunista. E’ interessante notare che questa guerra ha spinto i Russi ad indagare la ragione d’essere del proprio paese: per vent’anni i cittadini della Russia non hanno avuto una ideologia ufficiale, visto che le ideologie erano bandite dalla Costituzione ispirata a modelli occidentali. L’emergere di una nuova consapevolezza in Russia diventerà più evidente se esaminiamo il significato delle insegne religiose, militari (relative alla Guerra Civile ed alla Grande Guerra Patria) in rapporto alla conformazione ideologica del mondo postmoderno.

Le premesse del conflitto in Ucraina

Prima di passare in rassegna queste caratteristiche, lasciatemi ricapitolare gli ultimi eventi storici che ne costituiscono la premessa.  Dal 1991 in poi la NATO si è avvicinata ai confini della Russia malgrado avesse promesso il contrario ai tempi del collasso dell’Unione Sovietica. La burocrazia occidentale ha utilizzato il progetto Ucraina (non senza la collaborazione delle elite oligarchiche locali) in funzione anti Russia, utilizzando l'”identità negativa” della minoranza ucraina occidentale. Grandi somme di danaro sono state stanziate al fine di installare una dirigenza aggressiva nei media e nei centri di formazione del consenso in zone come Kiev, dove nulla del genere era esistito prima. Dal punto di vista degli assetti interni l’Ucraina post sovietica è stata una entità storicamente problematica fino dalla sua nascita. Nella sostanza costituiva il tentativo di ospitare due identità fra di loro in conflitto senza grandi slanci verso una coesione: da un lato i Russi tagliati fuori dal tracciato dei nuovi confini, così come gli Ucraini dell’est e del centro del paese (rispettivamente la Novorussia e la Malorussia ortodosse) condividevano radici comini con la Russia, dall’altro gli Ucraini occidentali, come i Galiziani (cattolici di rito greco nell’Impero Austro Ungarico) cercavano maggiori legami con l’Europa.

Nel febbraio 2014 queste due identità entrarono in collisione, quando il paese fu teatro di un coup d’état a regia occidentale sotto lo slogan dell’integrazione Europea. Un canto di sirena essenzialmente finalizzato a trasformare l’Ucraina in un grande mercato per i beni Europei competitivi (economicamente), in un campo di basi NATO (militarmente), con una moltitudine di altri effetti negativi destinati ad emergere con il coinvolgimento dei crediti concessi dal FMI.  Il coup ha dirottato un certo livello di scontento popolare nei confronti del governo di Yanikovich, espresso nel Maidan, indirizzandolo verso la logica conclusione del progetto Ucraina. Il progetto consisteva in uno stato ideologicamente anti Russo, basato sule idee estremiste di supremazia etnica della sua minoranza occidentale, che ignorava i desideri dei residenti dell’Ucraina orientale. La sua  presa del potere violenta ha prodotto un’altra conclusione logica. Quando il governo di Kiev ha negato a quelle regioni i loro basilari diritti di lingua e rappresentanza popolare, che potevano essere concessi attraverso il federalismo, e ha cercato di piegarle con la forza, è iniziata coma risposta una guerra di liberazione nel Donbass (la Novorussia storica, dai tempi di Caterina La Grande). Alla fine, si è scoperto che quelli che i partecipanti del Maidan apostrofavano come “schiavi” erano, dopo tutto, uomini liberi.

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Rifugio a Debaltsevo, senz’acqua ed elettricità. Dan Levy

Un anno e 50.000 morti più tardi (se vogliamo prestare fede ai servizi segreti tedeschi) il conflitto rimane oggetto di attenzione da parte degli analisti politici. Le infrastrutture del Donbass sono distrutte,  2 milioni e mezzo di profughi hanno trovato scampo in Russia (nel numero si contano anche quelli che prima lavoravano in Russia), l’economia Ucraina è allo stremo, e la metà delle migliori terre del paese è già stata acquistata dagli oligarchi e dalle società straniere. Il disaccordo sul problema dell’Ucraina e delle conseguenti sanzioni Russe si è esteso all’interno dell’Europa, la cui disgregazione avvantaggerebbe la capacità di Washington di esercitare un controllo sulla regione, che si ridurrebbe a singoli stati sempre meno sovrani.

Questo scenario di guerra civile nel contesto dei grandi giochi geopolitici non è stato una sorpresa per alcuni. Ad esempio Gleb Bobrov, uno scrittore di Lugansk che nel 2008 pubblicò con l’importante casa editrice Yauza ESKSMO quello che retrospettivamente sembra un romanzo profetico L’epoca di nati morti  (Epokha Mertvorozhdennykh).  Il libro descriveva una ipotetica guerra civile in Ucraina. Nel 2014, per ovvie ragioni, è stato ristampato cinque volte.

Simboli della Tradizione … ed Oltre

L’iconografia della lotta di liberazione nel Donbass amalgama diversi strati di storia comune Russo – Ucraina. Cerca di superare i punti di attrito e di dare alla luce una nuova sintesi del “mondo russo” che vada oltre le specificità delle ideologie rivelate, incanalando le più antiche tradizioni o trovando punti di contatto positivi. Un aspetto notevole della resistenza del Donbass è l’uso di simboli religiosi. I manifestanti post Maidan nell’est Ucraina (prima che Kiev incominciasse l’ “operazione anti terrorismo” contro i civili della regione) hanno pavesato frequentemente le loro barricate con immagini ortodosse orientali. Si trattava di icone protettive come quelle della Vergine e dello Zar Nicola. Le insegne ortodosse, che unificano gli slavi dell’est, sono rimaste anche in seguito una parte significativa della simbologia espressa dalla guerra di liberazione del Donbass.

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I carri armati sono andati in battaglia sotto le insegne del Mandylion [Il mandylion (greco”μανδύλιον”, lett. “panno, fazzoletto”) o immagine di Edessa era un telo, venerato dalle comunità cristiane orientali, sul quale era raffigurato il volto di Gesù. L’immagine era ritenuta di origine miracolosa ed era quindi detta acheropita, cioè “non fatta da mano umana”. Il mandylion era conservato inizialmente a Edessa; in seguito fu traslato a Costantinopoli. Se ne persero le tracce nel 1204, quando la città fu saccheggiata nel corso della quarta crociata. Alcuni studiosi ritengono che esso fosse lo stesso telo noto oggi come Sindone di Torino, NdT] e lo stesso hanno fatto alcuni comandanti e le guarnigioni di diversi blocchi stradali. Igor Strelkov volle espressamente che la bandiera del proprio battaglione volontario di Slovyansk fosse benedetta in una chiesa e organizzò una processione attraverso la città a metà del 2014. Forse, a livello inconscio, questi atti sottolineano tradizioni Indo Europee ancora più antiche – una dirigenza sociopolitica di clero e militari, un modello che stride fortemente con i politici bottegai della democrazia populista.

Source: RusVesna. Blessing the banner of the first Slavyansk volunteer battalion at the church of the Holy Resurrection in June, 2014.

La benedizione delle insegne del primo battaglione di volontari di Slavyansk nella chiesa della Santa Resurrezione, giugno 2014. RusVesna.

 

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Le insegne del Mandylion nel Donbass

La fede cristiana ortodossa, naturalmente, costituisce la tradizione religiosa millenaria di Kiev e della Russia Moscovita, dell’Impero Russo e, oggi, dell’Ucraina centro – orientale. Sebbene l’Unione Sovietica fosse ufficialmente atea (come derivato dell’ideologia marxista) la religione non ha mai completamente abbandonato la vita privata, specie fuori dalle grandi città; in alcune occasioni venne addirittura riconosciuta, come è il caso di Stalin nel 1941. In effetti, gli storici hanno sottolineato come a partire dagli anni ’30 l’Unione Sovietica divenne uno stato neo-tradizionalista—seppure con una economia comunista – nel quale valori sociali conservatori, come la promozione della natalità, erano stati reintrodotti con sistemi verticistici.

Il ruolo primario giocato dalla cristianità ortodossa nel conflitto del Donbass è evidente anche dal fatto che più di 70 chiese sono state deliberatamente danneggiate o distrutte in questa regione dalle forze di Kiev sostenute dall’occidente. Un portavoce della Novorussia ha riferito che queste chiese non avevano nei loro paraggi alcuna installazione militare, e che, in genere, non è stato colpito nulla a parte le chiese stesse. La pratica di bersagliare l’architettura religiosa e i centri comunitari non dovrebbe sorprendere, considerando che l’ortodossia è portatrice di forti legami culturali fra la Russia e l’Ucraina di oggi.

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Venendo allo scisma fra Bianchi e Rossi, la lettura ufficiale della storia in Unione Sovietica denunciava molti aspetti del tardo Impero Russo su presupposti ideologici.

Negli anni novanta il pendolo è oscillato nell’opposta direzione (questa volta l’obiettivo divenne l’intero periodo sovietico) con delle visioni più equilibrate emerse infine nel decennio successivo. Queste visioni sono più unificanti che divisive, e osteggiate da certe forze esterne che cercano di destabilizzare la Russia. Sebbene permanga una certa qual polarizzazione, la maggioranza dei Russi sta maturando una consapevolezza che supera le ideologie e legge l’Impero Russo e l’Unione Sovietica come variazioni della stessa entità geopolitica. Va anche detto che molte famiglie portano al proprio interno queste contraddizioni apparenti: mentre alcuni dei loro antenati erano ben collocati durante il periodo imperiale, e furono poi “purgati” negli anni trenta, altri erano contadini, lavoratori e soldati dell’Armata Rossa. Per questa ragione i militanti delle Forze Armate Novorusse mostrano una varietà di simboli, la sintesi dei quali indica l’emergere di una visione equilibrata del proprio passato: in questa ottica, nessun periodo è completamente positivo o negativo. Per esempio, nella primavera e nell’estate del 2014, i mezzi di comunicazione hanno focalizzato la propria attenzione sull’interesse di Igor Strelkov per le rievocazioni storiche, focalizzate principalmente sull’esercito russo nella prima guerra mondiale e sul movimento bianco durante la Guerra Civile del 1917-21.

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L’attuale dirigente della Repubblica di Donetsk, Alexander Zakharchenko, eletto nel 2014, ha scelto di prestare giuramento al suono della marcia imperiale del Reggimento Preobrazhenskii del periodo di Pietro il Grande. La cerimonia ha visto anche la partecipazione del Cosacchi. Prima che la Russia meridionale e l’Ucraina orientale venissero divise artificialmente, questa regione ospitava una popolazione omogenea (narod), che includeva i Cosacchi del Don, una soslovie (comunità) che godeva di autonomia ed era fieramente devota a Dio e, spesso, allo Zar. Rimaste sopite durante il periodo Sovietico, le tradizioni Cosacche stanno riemergendo. Anch’esse sono giunte a svolgere un ruolo importante sui fronti della liberazione del Donbass.

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L’eredità cosacca rivela la complessità storica del Donbass. Cento anni fa, la guerra civile russa ha polarizzato la popolazione in questa regione sulla contrapposizione ideologica fra movimento Bianco e Bolscevichi. In effetti, nella sua valenza di guerra civile, il conflitto per la liberazione del Donbass consente raffronti con questo periodo. Dopo tutto, molti dei soldati raccolti da Kiev sono in realtà etnicamente Russi di città come Dnepropetrovsk che combattono contro altri Russi che vivono più ad est. Va poi considerato il fatto che, a dispetto del simbolismo russo imperiale, la dirigenza novorussa si rappresenta come erede della effimera e transitoria Repubblica Sovietica di Donetsk – Krivoi Rog (1918). E, in un’aerea industriale, concentrata prevalentemente sull’estrazione del carbone, non è possibile evitare paragoni basati sulla distinzione in classi di epoca sovietica. La bandiera della Novorussia si compone della Croce di Sant’Andrea e sul motto “volontà e lavoro”; e anche la bandiera della Repubblica di Donetsk usa un cromatismo ispirato a quel periodo.

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In ogni caso, il tema del lavoro ha più continuità di quanto sembri nella apparente contrapposizione fra i campi bianco e rosso. Mentre l’Unione Sovietica cercò di affermare istituti di equità sociale con degli approcci dirigisti, alcuni industriali nel tardo Impero Russo erano pii cristiani ortodossi, che credevano nell’opera di beneficenza su iniziativa individuale. Alcuni crearono condizioni di lavoro accettabili per i loro dipendenti ancora prima che entrasse in vigore la legislazione sul lavoro, inclusi asili e reparti ginecologici nel caso della azienda Abrikosov & Sons, e scuole e pensioni per la  Einem, tanto per nominarne un paio.

Di nuovo nella seconda guerra mondiale?

Ancora oggi è la seconda guerra mondiale che custodisce la più parte dell’eredità sovietica e un ruolo centrale nel conflitto del Donbass. La narrativa mediatica prevalente in lingua inglese, anche quella dei rari interventi solidali, descrive i residenti del Donbass come menati per il naso dalle televisioni russe, che li inducono a pensare di star rivivendo la seconda guerra mondiale nella lotta contro il fascismo. Tenuto conto del fatto che molti di loro sono minatori, le infamanti implicazioni di queste teorie sono che questa gente della classe lavoratrice è troppo ignorante per capire le cose come stanno e pensare con la propria testa. Su questo argomento dobbiamo quindi esaminare due materie: una riguardante la seconda guerra mondiale in generale, l’altra, specificamente, l’ideologia.

Prima di tutto, più o meno ogni famiglia di quella che era l’Unione Sovietica è stata colpita da quella che in Russia è conosciuta come grande guerra patria (1941-45) con perdite totali stimate in circa 26 milioni di morti. Le persone conoscono bene le storie dei loro genitori e dei loro nonni, alcuni dei quali sono ancora vivi. Su di un livello ideologico, questa guerra è stata il grande compattatore dell’Unione Sovietica negli anni seguiti alla rivoluzione di Lenin ed al consolidamento del potere di Stalin (1917-41). Ma c’è più di questo. Tutta la geografia e la topografia della Novorussia riproducono memorabili battaglie dell’Armata Rossa combattute in queste regioni: questo rende arduo evitare paragoni.

La città di Slavyanoserbsk, nei paraggi di Lugansk, per esempio, ha ricevuto questo nome per alcuni ufficiali serbi che hanno servito l’Imperatrice Elisabetta a metà del diciottesimo secolo. La città è stata soggetta all’occupazione nazista nel 1942-43, con partigiani sovietici attivi nella zona, fino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa nel settembre di quell’anno. I combattenti delle Forze Armate Novorusse hanno sottolineato come la posizione tattica rispettivamente delle truppe Sovietiche e Naziste riproducesse pedissequamente quella assunta da loro e dalle forze di Kiev. Ciliegina sulla torta: si dice che siano stati i volontari serbi a liberare la città dal nemico nell’agosto del 2014.

Saur Mogila (la tomba di Saur), è una altezza di valore strategico della regione di Donetsk, teatro di una delle più cruente battaglie della grande guerra patria, riconquistata dalle truppe sovietiche nell’agosto del 1943. La ferocia di questi scontri è sembrata un déjà vu nell’estate del 2014, quando Saur Mogila è passata di mano in mano fra le truppe di Kiev e le forze della Novorussia, che infine l’hanno riconquistata nell’agosto di quell’anno. L’obelisco del 1963 costruito come memoriale della Grande Guerra Patriottica, è andato distrutto in conseguenza di questa battaglia.

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Sembra che ogni singolo palmo di questa terra possa raccontarci una storia simile. C’è una caricatura raffigurante Hitler mentre “si dispera” (gioco di parole con la località di Volnovakha) per la ripresa di Mariupol da parte dei Sovietici, una fotografia di un T 34 con l’insegna “vendicatori del Donbass” (con due fratelli ed un cugino) ed un affresco dei primi anni del dopoguerra, fatto da un maestro di scuola, che raffigura la stazione dei treni di Debalzevo.

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Ci sono addirittura diversi carri armati T 34 che sono stati tirati fuori dai musei e ripristinati dagli uomini della resistenza, come questo carro armato della città di Lugansk dell’inizio del 2015.

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Ci sono poi le brigate internazionali che militano in entrambe le fazioni in lotta, con una riproduzione apparente della Guerra civile spagnola. Le truppe di Kiev hanno Svedesi, Spagnoli, Americani. Le Forze Armate novorusse includono a loro volta Spagnoli, Brasiliani, Francesi, Serbi. Se proprio vogliamo rimproverare qualcosa ai minatori del Donbass, possiamo osservare che, facendo questo tipo di confronti con la Seconda Guerra Mondiale, conoscono la loro storia troppo bene.

Poi c’è la questione del fascismo in Ucraina, una questione che i media occidentali evitano, mentre le loro controparti russe enfatizzano. Durante la seconda guerra mondiale alcuni abitanti dell’Ucraina all’inizio accolsero bene i nazisti che cacciavano i comunisti sovietici, anche se poi crebbe velocemente il disprezzo per la loro colonizzazione. Gli Ucraini assistettero a diversi gradi di collaborazionismo, dalle SS galiziane all’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) che avversava e combatteva tutti: Tedeschi, Polacchi, Russi ed Ebrei – e fu complice della pulizia etnica nella regione della Volinia.debaltsevo-kp

Oggi gli estremisti nazionalisti su base etnica Ucraini, Settore Destro, la Assemblea Sociale Nazionale, e il Battaglione Azov, vedono sé stessi come eredi dei leader dell’UPA Bandera e Shukhevich, e si iscrivono esplicitamente nella corrente politica della “terza via” includendo insegne ispirate alla Seconda Guerra Mondiale. Ed è la loro lettura della storia che di fatto ha occupato il potere dopo il Colpo di Stato del febbraio 2014. Che non si tratti di figure del tutto marginali è evidente dalla completa negazione della riforma federale e dei diritti dei russofoni, e anche dai discorsi del Presidente Poroshenko, che ha chiamato Odessa una “città di Bandera”, un epiteto particolarmente insutante per molti residenti di questa città eroe dell’Unione Sovietica e vittima del massacro perpetrato dagli attivisti del Maidan alla Casa dei Sindacati nel maggio 2014.

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Non buttare l’ideologia con l’acqua sporca

Sebbene l’idea che la Storia si ripeta sia tentatrice, è importante notare le considerevoli differenze ideologiche. Come alcuni teorici hanno osservato, da un punto di vista filosofico la Seconda Guerra Mondiale ha rappresentato una battaglia fra tre ideologie, per quale rappresentasse meglio la modernità su scala globale. Il risultato di questa battaglia fu che il comunismo (Unione Sovietica) e il liberalismo (Stati Uniti) trionfarono sul fascismo. In seguito la Guerra Fredda vide il confronto fra le due ideologie moderne superstiti, in conseguenza del quale l’Unione Sovietica collassò (1991) consegnando la vittoria al liberalismo. La stagione postmoderna cominciò con il liberalismo rimasto solo a rappresentare la modernità nel processo storico (rendendo obsoleto il paradigma destra-sinistra generalmente accettato nel ventesimo secolo). Alcuni analisti hanno chiamato questa ideologia “neoliberalismo”, altri “post-liberalismo”. Entrambe queste espressioni, in ogni caso, descrivono la stessa parabola storica, che vide questo sistema ideale svilupparsi nella sua forma corrente: l’individuo (privato di tutti i legami tradizionali) al centro della storia, il capitale finanziario con le sue imprese internazionali senza volto, il cieco consumismo, l’informazione ricreativa per le masse, la falsa fede in un progresso economico infinito, la religione secolare dei “diritti umani” come strumento di una politica estera spesso molto poco umanitaria, solo per elencare alcune caratteristiche.

Ovviamente le altre ideologie del ventesimo secolo non si sono estinte completamente. Ma è il post-liberalismo con la sua egemonia globale che permette loro di esistere solo per servire ai suoi fini. E sono i sacerdoti di questa ideologia, le classi dirigenti nell’occidente istituzionale, che consentono l’esistenza di quelli che si qualificano come fascisti in Ucraina, allo stesso modo con cui sostengono i cosiddetti ribelli “moderati” in Medio Oriente. Fatto ciò la bocca delle oligarchie, i mass media, ripuliscono i primi presentandoli come “nazionalisti”, “di estrema destra”, o semplicemente “controversi”. All’opposto, quelli che sfidano l’egemonia ideologica, anche nel modo più blando, vengono sottoposti ad un processo di reductio ad Hitlerum. E’ il caso di qualsiasi partito politico come, ad esempio, il Front National, che mostri un attaccamento al tradizionalismo (antiglobalismo), anche solo nella forma di una asserzione della sovranità nazionale che prevalga sulle formazioni sovranazionali come la NATO.

Di fatto l’ideologia post liberale è una  dei fattori che accecano molti Occidentali impedendo loro di vedere la verità sulla guerra di liberazione del Donbass. Il modello di cittadinanza corrente in Occidente è astratto: si basa su di una serie di principi per i quali gli individui sono intercambiabili (nella misura in cui fanno propri i “valori Europei” o “il sistema di vita Americano”) in sostituzione di concezioni più tradizionali di radicamento nel territorio, di legami linguistici e culturali, e di vincoli ancestrali. Quelli che si adeguano a questa astrazione non riescono a capire in che modo appartenere alla stessa gente (narod) conferisce un senso di comunità che supera la divisione fra stati (Russia e Ucraina contemporanee) formati a casaccio al tempo del collasso dell’Unione Sovietica, e perché questa gente sembri attaccata alla propria lingua, alla cultura, alla religione, alla storia, ed alla terra e perché siano disponibili a morire per questi valori. Ma questa guerra (una guerra concepita per dividere) ha costretto anche quei russi inclini ad un pensiero più tradizionale a unirsi idealmente e spiritualmente agli altri, che provavano i loro sentimenti e vivevano oltre il confine, per iniziare ad interrogarsi tutti su chi effettivamente erano, costruendo, con incertezza ma pieni di speranza, l’idea del “Mondo Russo”. Oltre la destra e la sinistra. Oltre i Rossi e i Bianchi.

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