Comandante veterano dell’unità d’élite del KGB Gruppo Alpha, il Maggior Generale Gennadij Nikolaevič Zajcev racconta l’operazione del 1977 per arrestare l’agente della CIA Martha Peterson, che lavorava all’ambasciata statunitense con una copertura diplomatica. La Peterson stava manipolando un prezioso agente – Aleksandr Ogorodnik, nome in codice Trigon, un membro d’alto profilo del Ministero degli Esteri Sovietico. All’epoca in cui Ogorodnik era stato già arrestato e si era suicidato in prigione col veleno fornito da Langley [cittadina della Virginia dove’è situato il quartier generale della CIA, NdT] la Peterson sapeva poco. La trappola attentamente disposta dal Secondo Direttorato Centrale era stata piazzata…
Accadde così che ebbi l’opportunità di partecipare all’arresto di una spia perfino prima che mi unissi al Gruppo Alpha delle Spetsnaz. A quell’epoca servivo nel Settimo Direttorato del KGB dell’URSS. Vi ricordate del film La TASS è Autorizzata a Dichiarare…? [Si tratta di una miniserie del 1984 inedita in Italia, NdT] Racconta la storia di come il KGB scoprì Trigon, un agente nemico. In realtà questi era Aleksandr Ogorodnik (Trigon), un membro dello staff del Dipartimento americano del Direttorato per la Pianificazione di Misure di Politica Estera del Ministero degli Affari Esteri. Si suicidò durante l’arresto.
Ma i giochi con gli Americani continuarono. Decidemmo di catturarli sulla scena del crimine. Gli eventi in questione si svolsero sul Ponte Krasnolužskij nel quartiere Lužniki di Mosca. Il Viceconsole dell’Ambasciata statunitense, Martha Peterson, era in viaggio per incontrarsi con Trigon. La seguimmo dall’Ambasciata, ma riuscì a cambiarsi d’abito, trasformando radicalmente il suo aspetto.
Accadde questo. La sera del 15 Luglio parcheggiò la sua auto dell’ambasciata vicino al cinema Russia (Rossija) e vi entrò. Il cinema stava rappresentando Il Rosso e il Nero, basato sul romanzo omonimo di Stendhal [versione Sovietica del 1976, inedita in Italia, NdT], e l’ultima proiezione della giornata era già iniziata. All’esterno l’intelligence la monitorava da lontano, dato che la spia indossava un vestito bianco con un grande motivo floreale, che era facile da avvistare da lontano.
“La Donna in Bianco” si sedette su una poltroncina nei pressi dell’uscita di emergenza e fece finta di guardare il film per dieci minuti. Accertandosi che tutto intorno a lei fosse calmo, la Peterson indossò dei pantaloni neri sul suo vestito, assieme ad una giacca dello stesso colore, la abbottonò stretta e sciolse i capelli che prima aveva raccolto in una crocchia.
Lei, però, ebbe l’accortezza di non tornare alla macchina, e all’inizio prese un autobus, poi salì su un tram e sulla metropolitana – stava controllando se era seguita. Solo allora prese un taxi e arrivò al Ponte Krasnolužskij. Anche se la zona sembrava completamente deserta a quell’ora tarda, c’erano circa 100 agenti operativi di diverse unità. Stavano osservando tutto in segreto.
Quando la Peterson salì le scale che conducevano ai binari ferroviari, noi – era notte fonda – non riuscimmo a capire che fosse lei, dato che Martha con i pantaloni addosso assomigliava ad un uomo. Era un fatto positivo che il nostro gruppo includesse specialisti che conoscevano il modo di camminare di ogni membro dello staff dell’Ambasciata americana. Questi esperti determinarono che la persona che stava infilando oggetti nel nascondiglio segreto, era davvero la Peterson.
Era costretta a camminare attraverso alcuni archi costruiti nei giganteschi pilastri del ponte. In quel momento scomparve dalla vista, rimanendo più del necessario all’interno di uno degli archi. Arrivammo alla conclusione che aveva lasciato lì un pacco. Quando la Peterson si girò e cominciò a tornare indietro camminando al centro del ponte, e poi cominciò a scendere le scale, venne presa con le mani nel sacco. Per farle capire che non eravamo teppisti di strada, ma piuttosto delle autorità, dovetti indossare l’uniforme di un agente di polizia.
La Signora Peterson si oppose con coraggio ai nostri operativi – che stavano cercando un piccolo registratore attaccato al suo corpo – mentre urlava ad alta voce, così da avvertire l’agente che doveva raccogliere il suo pacco.
Vedendo che l’arresto stava prendendo più tempo del necessario, aiutai i ragazzi afferrando fermamente la sua mano, stringendola all’altezza del polso. Come risultato, ruppi il cinturino del suo orologio, che, come si scoprì, conteneva un microfono connesso ad un registratore che indossava. Mentre ero in macchina, riparai il cinturino. Ciononostante, in seguito l’Ambasciata statunitense inviò una lamentela al nostro Ministro degli Affari Esteri riguardo all’orologio rotto e ai lividi sulle sue mani.
Cosa avremmo dovuto fare? Dopotutto, mentre veniva arrestata, la Signora Viceconsole dimostrò un’eccellente conoscenza delle bestemmie e del karate (in termini di classificazione era un 6° dan). E poi era davvero necessario urlare in quel modo?
La Peterson venne portata alla Lubjanka [Quartier generale del KGB, NdT], dove venne riunito lo staff dell’ambasciata americana per la sua identificazione. In presenza della Peterson, dissigillammo un contenitore a forma di sasso finto. Trovammo istruzioni, un questionario, equipaggiamento fotografico specializzato, oro, denaro e due capsule con all’interno del veleno.
L’Ambasciatore americano Malcolm Toon, che arrivò al Ministero degli Affari Esteri Sovietico immediatamente dopo l’estradizione di Martha Peterson in America, insistette sul fatto che questi eventi non venissero fatti arrivare alla pubblica attenzione, cosa che “sarebbe stata molto apprezzata dal governo degli Stati Uniti d’America”.
Pare che la mia fugace conoscente (non ci presentammo l’un l’altra) insegnò poi in una delle scuole di intelligence della CIA, istruendo le future spie sui trucchi del comportamento da tenere durante l’arresto, che lei stessa sperimentò.
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Articolo pubblicato da Nina Kouprianova il 13 Maggio 2016 su Espionage History Archive
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.it
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