Ventiquattro anni fa la nostra patria si risvegliò con la musica del Lago dei Cigni. Il 19 agosto 1991 la Televisione di Stato annunciò che il Presidente Gorbachev, per ragioni di salute, non era in grado di espletare le sue funzioni e il potere passava nelle mani del Comitato Statale per lo Stato di Emergenza. Iniziò un tentativo di colpo di Stato durato tre giorni, seguito da una breve agonia di un grande impero. Nel dicembre dello stesso anno, l’Unione Sovietica, senza speranza e senza eventi di rilievo, cessava di esistere.
Come è potuto succedere che una delle due superpotenze mondiali, la nazione con l’esercito più forte, un sistema educativo di prima categoria e una solida industria, si sia sfasciata di colpo lasciando al suo posto piccole repubbliche, frammentate e devastate dalla guerra? Chi bisognava incolpare, Gorbachev e Yeltsin, la CIA, la Voce dell’America? Perché era collassata l’Unione Sovietica?
La risposta è semplice e complicata allo stesso tempo: l’URSS collassò perché perse la Guerra Fredda, che non era solo una lotta per il dominio mondiale ma anche una competizione fra due (diversi) sistemi socio-economici. Il sistema sovietico non riuscì a sopravvivere alla sfida con l’Occidente e si dimostrò incapace di auto-riformarsi dall’interno. Alla fine, semplicemente collassò, insieme a tutta la nazione.
I classici ci insegnano che l’economia è la base per definire e mettere a fuoco l’immagine di uno Stato. I successi e i fallimenti di una nazione dipendono dalla qualità e dal grado di sviluppo dell’economia. Un Paese apparentemente forte ma con un sistema economico difettoso è un colosso con i piedi d’argilla, basta un piccolo colpo e crolla sotto il suo stesso peso. Questo è quello che è successo all’Unione Sovietica.
All’inizio del periodo staliniano, il capitalismo passava dei brutti momenti. Un’oligarchia finanziaria senza regole, una corruzione totale e l’immenso sfruttamento dei lavoratori avevano portato alla Grande Depressione e al collasso quasi completo delle istituzioni governative delle nazioni occidentali.
Nello stesso tempo, l’URSS sotto Stalin era di fatto diventata uno stato corporativo in cui la pianificazione centrale aveva completamente sostituito il libero mercato.
Negli anni ’30 tutto questo presentava dei vantaggi immediati: un enorme passo verso la modernizzazione, e la costruzione di centinaia, migliaia di nuove fabbriche, strade e città. Una rigida integrazione verticale aveva consentito la sconfitta dell’esercito più forte della storia e, dopo la guerra, la ricostruzione della nazione e lo sviluppo di nuovi e impegnativi progetti: programmi nucleari, spaziali, radar, aviogetti, computers e così via. E’ abbastanza corretto dire che Stalin prese una nazione con gli aratri e la lasciò con la bomba atomica. Alla fine degli anni ’50 l’URSS era la nazione più avanzata per quello che riguardava scienza e tecnologia. In un quarto di secolo il livello di vita era aumentato enormemente.
Alla fine degli anni ’50 il rigido sistema di comando incominciò a perdere colpi. Per diversi motivi le direttive della Commissione per la Pianificazione Statale venivano disattese, e i responsabili (manager e direttori a livello locale) se la cavavano con dichiarazioni false, frodi e volontarismo. Ladrocinio e corruzione tornarono a rifiorire. Il sistema staliniano di gestione dello Stato si era rivelato di grande efficacia nei momenti di crisi e mobilitazione, ma non era adatto ad un contesto pacifico.
La risposta a tutto questo, a metà degli anni ’60 fu una nuova politica economica, le cosiddette riforme di Kosygin, che aumentarono l’autonomia finanziaria delle imprese. Questo fu un allontanamento significativo dalla centralizzazione stalinista. I manager delle varie imprese (i cosiddetti “Direttori Rossi”) divennero di fatto dei quasi-capitalisti. Avevano la disponibilità di reali risorse finanziarie che potevano essere utilizzate in incentivi per i lavoratori, nella costruzione di alloggi per i dipendenti, in ambito sociale (rette scolastiche, campi estivi, vacanze ecc.) e, anche se in misura limitata, nello sviluppo della produzione.
La riforma di Kosygin è considerata un esperimento fallito, ma non è così. Gli incarichi tecnici e le pianificazioni programmate indicano che la riforma ebbe anche troppo successo. La causa del fallimento delle riforme di Kosygin è stata proprio il suo successo troppo rapido, che ha minato la stabilità del sistema socio-politico.
In ogni caso, la logica continuazione delle riforme, la transizione all’economia di mercato, non ebbe luogo. La nazione entrò in un periodo di stagnazione con una strana economia di tipo dualistico: un’impresa aveva disponibilità finanziarie, ma non poteva spendere a propria discrezione. Un’impresa aveva i mezzi di produzione ma non poteva decidere che cosa produrre.
L’Occidente (intanto) non aveva perso tempo. Prendendo spunto, anche prima della guerra, dalle migliori politiche socialiste, le nazioni capitaliste si erano mosse verso il controllo statale dell’economia, la pianificazione strategica e lo sviluppo dei servizi sociali. Queste misure, in concomitanza con un mercato libero e un aumento della produttività, avevano contribuito ad un enorme miglioramento del tenore di vita.
Negli anni’60 in Occidente si era formata una vasta classe media e la base della crescita economica era data dal consumismo privato, che rendeva più complesse le strutture economiche ed aumentava ancora il tenore di vita.
Nel frattempo la nostra economia segnava il passo. La produzione di beni di consumo calava di anno in anno. D’altro canto un’azienda non poteva investire in prodotti per cui ci fosse la domanda (e ricavare profitto da questo).
Inoltre, per una serie di motivi, tutti gli investimenti statali andavano all’industria pesante e al complesso industriale militare. Certo, tutte le industrie della difesa dovevano fabbricare anche prodotti per i civili ma elenchi e prezzi erano stabiliti dall’alto e i fondi allocati a queste produzioni avevano una bassa priorità.
In confronto alle nazioni occidentali, il mercato era estremamente sottosviluppato. Non che ci sia molto da dire. Basta ricordare i negozi, i caffè, i taxi o i saloni di parrucchiera del periodo sovietico. Non ce n’erano abbastanza ed erano disgustosamente scadenti. Dopo tutto i servizi sono il settore più grosso, importante e flessibile di un’economia moderna.
La Guerra dello Yom Kippur e la conseguente crisi petrolifera del 1973 fece aumentare moltissimo la richiesta per le risorse energetiche sovietiche e fu letteralmente possibile “lubrificare” i problemi dell’economia sovietica con il ricavato della vendita di gas e petrolio all’Occidente. Anche se più avanzata e diversificata che negli anni ’50, l’economia sovietica, negli anni di stagnazione, continuò a perdere terreno nei confronti dell’Occidente. All’Ovest si comperavano sempre più beni di consumo, dai tessuti alle scarpe fino a complesse linee di produzione.
Anche se a prima vista poteva sembrare poderosa, la nostra industria sorprendentemente produceva pochi prodotti di qualità internazionale: armi, missili, alcuni generi di macchinario pesante (turbine) e metalli di vario tipo e questo probabilmente è tutto. Gli apparecchi televisivi e i macinini da caffè sovietici venivano acquistati solo perché non ce n’erano altri, ed erano l’oggetto delle battute di spirito di quell’epoca. L’industria russa dei nostri giorni è di fatto molto più vicina agli standard mondiali di quella stagnante dell’era sovietica.
Un’altra maledizione dell’economia sovietica era la sua terribile inefficienza. Per prima cosa, il principio del posto di lavoro per tutti, garantito dallo stato sociale, significava che i lavoratori negligenti non potevano essere licenziati e le aziende non erano incentivate a migliorare le tecnologie e ad aumentare la produttività.
Molte industrie sovietiche, specialmente nel settore civile, usavano macchinari dell’epoca pre-bellica per la produzione di massa e le direttive della Commissione per la Pianificazione Statale venivano eseguite in modo approssimativo. Alla fine degli anni ’80 la produzione industriale era circa la metà di quella delle nazioni più avanzate (e questo malgrado la costruzione di grossi stabilimenti estremamente efficienti), mentre l’agricoltura era 4-5 volte meno produttiva.
Ma la produttività non è tutto. Nonostante la centralizzazione, gli investimenti e l’allocazione delle risorse rimanevano insufficienti. Per esempio, un villaggio veniva fornito di costose trebbiatrici a cui non veniva fatta manutenzione e che alla fine si rompevano e venivano lasciate ad arrugginire nei campi. Nell’aviazione civile continuavano a volare gli aerei degli anni ’60, che, sebbene eccellenti in quegli anni, erano già da molto tempo diventati obsoleti.
Nessuno si occupava di risparmio energetico. Gli impianti termoelettrici, sebbene teoricamente efficienti, arrivavano nelle strade e nelle case con tubature a scarso isolamento termico. I raccolti di frumento, ammassati nei campi, erano spesso contaminati a causa delle cattive condizioni di conservazione. Ci sono centinaia e migliaia di simili esempi: l’economia della fine dell’epoca sovietica assomigliava ad una barca che faceva acqua e che rimaneva a galla solo perché si continuava a far funzionare le pompe.
Negli anni ’80 il prezzo del petrolio era calato drasticamente. La leggenda vuole che sia stata un’operazione speciale della CIA destinata a far cadere l’Unione Sovietica e, se è vero, essa ha certamente avuto successo. Naturalmente una simile cospirazione non è mai esistita, si trattava semplicemente di sovrapproduzione. Dopo un brusco aumento dei prezzi negli anni ’70 molti si erano affrettati a fare investimenti nel settore petrolifero. D’altro canto i prezzi alti del carburante avevano costretto al risparmio. Auto compatte, aerei migliorati dal punto di vista del consumo energetico e la transizione dal petrolio al gas erano all’ordine del giorno.
E così nel 1981, la bolla petrolifera era scoppiata in modo naturale e in pochi anni i prezzi erano crollati tre volte [questo non è necessariamente vero, dal momento che, come oggi, l’accordo sul prezzo del greggio fra USA e OPEC era un modo per sabotare l’economia sovietica-commento del traduttore russo]. Se l’economia sovietica fossa stata bilanciata, se alla fine degli anni ’70 non fossimo diventati solamente fornitori di materie prime per l’Occidente, se non fossimo diventati completamente dipendenti dal frumento e dai beni di consumo che acquistavamo in Occidente con i petrodollari, se le imprese fossero state in grado di lavorare anche con la crisi e se l’elite al potere avesse reagito in tempo, allora avremmo potuto superare i tempi difficili.
In ogni caso accadde qualcos’altro. L’era post-bellica è stata caratterizzata dalla rivalità militare delle due superpotenze. L’Unione Sovietica è stata costretta a spendere preziose risorse per difendere la sua sfera di influenza, per questo motivo la dirigenza sovietica è stata incapace di attuare le riforme fondamentali.
Negli anni ’60 abbiamo avuto una seria possibilità di seguire la via cinese (o piuttosto il contrario: Deng Xiaoping ha replicato alla grande e a suo modo le esperienze delle riforme di Kosygin), per costruire un’economia valida e sostenibile e consolidare uno Stato forte e difendibile. I goffi e tardivi tentativi riformistici di Gorbachev non potevano essere di nessun aiuto e l’impero era ormai un malato terminale. La storia ha deciso altrimenti e le ragioni di ciò stanno negli eventi che sono occorsi dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Si tratta di questo: il confronto militare con l’Occidente e il suo ruolo nella caduta dell’URSS, che vedremo nella parte successiva.
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Articolo di Sergei Poletaev pubblicato da FortRuss il 4 settembre 2015
Traduzione in italiano a cura di Mario per Sakeritalia.it
L’articolo contiene sicuramente delle verità ma a mio avviso è un po’ troppo liquidatorio, aspetto con ansia la seconda parte comunque 🙂
Provare a dare una risposta a tutte queste domande impiegherebbe un’enciclopedia intera e forse nemmeno basterebbe per raccapezzarci qualcosa !
In questi anni molto si è scritto ma poco credo si sia approfondito tanto che ad oggi nessuno è riuscito a stabilire con certezza quali siano state le cause specifiche del crollo del sistema.
Le classiche analisi liberali possono dare alcune indicazioni di massima ma rimangono ancora troppo vaghe e ideologiche per fornire risposte realmente adeguate, applicarle poi cosi come sono al modello Russo significa sottostimare completamente tutti i complessi fattori storico-culturali specifici di quel mondo
Ed in effetti di fattori ve ne sono tantissimi e non credo tutti imputabili alla struttura Socialista del sistema ma anche in parte attinenti alla sovrastruttura storica, politico e culturale della Russia in quanto tale. se ci pensiamo molto delle analisi critiche che si fecero al tempo potrebbero essere valide anche per la Russia di oggi.
Daltronde ci sarà un motivo se l’odierna Russia continua ad avere un modello produttivo e sociale non cosi dissimile da quello Sovietico (per molti aspetti persino più arretrato), e ci sarà un motivo se a dispetto degli enormi cambiamenti di stuttura il sistema maggiormente auspicato da una vasta maggioranza della popolazione continua ad essere il buon vecchio dirigismo statale nell’economia guidato da un Stato di tipo assistenziale, e ancora ci sarà un motivo se nonostante l’introduzione del capitalismo la Russia continua a basare la gran parte della sua economia sull’industria pesante o sull’estrazione di materie prime in contrasto alle economie occidentali ormai quasi completamente incentrate sui servizi ? …
In estrema sintesi: come mai nemmeno l’introduzione del capitalismo è bastata per applicare alla Russia un vero e proprio modello di sistema borghese, ovvero l’applicazione di un modello realmente liberale in grado di delegare il totale controllo della società a grandi, medie e piccole imprese gestite da capitalisti ?
Non sarà forse che il sistema Socialista meglio si addice alla storia ed all’animo più profondo del popolo Russo ?
Forse la risposta è proprio nell’animo stesso di quel popolo, credo che la storia abbia già dimostrato che il liberalismo, ma anche lo stesso capitalismo non è possibile senza minare alle basi l’intera struttura (Stato) e sovrastruttura (cultura) della nazione Russa.
Ma non sarebbe stato possibile anche e sopratutto a causa del complesso intreccio storico-valoriale nel quale sono da sempre immersi quei popoli, molte delle analisi quindi rimangono valide per tutti i periodi storici, compreso il periodo post-comunista … qualche analista liberale in modo un po’ dispregiativo coniò il termine “homo sovieticus” per descrivere la mentalità tipica del cittadino Russo medio di oggi, il termine ovviamente è denigratorio e russofobo, ma in fin dei conti nemmeno cosi sbagliato in quanto (a dispetto di tutto) descrive una situazione reale ovvero il mondo in cui moltissimi Russi continuano pure oggi a definire sé stessi ed il proprio mondo circostante
Daltronde dopo il periodo di transizione quello che ne è uscì fuori non fu la costruzione di un moderno sistema liberale (sul modello occidentale) ma una sorta di premoderno “Far West” oligarchico senza regole, pensate solo ai primi anni novanta con Yeltslin, ma sotto gli occhi oggi abbiamo anche l’Ucraina per non parlare di tanti altri paesi dell’ex cortina di ferro (Romania, Bulgaria ecc).
Tutti gli esperimenti di esportazione del capitalismo ad est si sono dimostati ampiamente fallimentari sotto tutti i punti di vista, in tutti i casi abbiamo visto nascere dei veri e propri regimi oligarchici che poco o nulla hanno a che fare con le tanto sbandierate teorie liberali
Aveva quindi l’URSS una stuttura economica di cartapesta ?
Io non lo credo, e la prova è data dal fatto che fu proprio il crollo dell’URSS a determinare lo scatenanamento della globalizzazione neoliberale oggi imperante a livello globale, l’URSS era un freno a questo e non certo solo per la dimensioni dei suoi cannoni ma anche e sopratutto per il suo peso economico e quindi politico da essa esercitato
Come detto nessuna può avere una risposta omnicomprensiva per quello che realmente successe, io credo rientrino fattori storici ma forse anche più specificamente culturali, il modello liberale è un modello fortemente invasivo ma in fin dei conti tipicamente anglosassone, esso mal si addice ad altri paesi, inoltre il capitalismo in quanto tale non è sempre importabile e non funzionerà mai se non inserito nel quadro di un progetto che possa facilmente assimilarlo ed in sintesi accettarlo nella sua interezza.
A differenza di altri paesi dell’europa occidentale la Russia non visse mai una fase propriamente borghese ma passò di colpo da un modello autocratico secolare (rappresentato dallo Zar) ancora legato a tradizioni, miti e credenze feudali millenarie al tentativo diretto di applicazioni dei più moderni (al tempo) principi illuministici rappresentati dalle idee socialiste …
E sono proprio questi due modelli di civiltà (una volta inconciliabili) che nel tempo sembrano essersi fusi, nella sintesi ormai troppo ben sedimentato dell’animo più intimo e speculare dell’umanità Russa, credo sia questo il motivo principale della diversità e unicità di quel popolo, e davvero non è un caso se oggi siano propri i Russi (di nuovo!) e non certamente i cinesi a porsi in totale contrapposizione al modello monopolare a guida USA
Attenzione poi a definire il capitalismo, la Russia attua ancora una forma di “capitalismo di stato” dove le grandi imprese (seppur in competizione di mercato imperfetto) rimangono ancora stettamente vincolate al dirigismo statale con tutto il corollario di vari interessi pubblici ad essa collegati
L’autore tra l’altro elogia l’impulso economico che fu di Stalin (e fa bene) ma al tempo stesso non va dimenticato che la collettivizzazione che diede questo enorme impulso modernizzatore (e che in seguito fu indispensabile per uscire vittoriosi dalla Grande Guerra Patriottica) faceva seguito alla NEP di Lenin … nessuno può fare la storia con i se e con i ma, tuttavia se si fosse seguita la strada del secondo forse avremmo avuto meno industrializzazione (quella pesante) con il contraltare però di una maggiore libertà produttiva che avrebbe dato sin da allora maggiore inpulso al “mercato” dei beni di consumo … l’URSS avrebbe potuto essere molto diversa da quella che abbiamo conosciuto
Ma l’industrializzazione favoriva il collettivismo e c’erano valide ragioni per scegliere quella strada, c’erano ragioni ideologiche com’è facile immaginare ma c’erano anche motivazioni pratiche visto che il paese doveva ancora uscire dalla sua fase medioevale e l’industrializzazione era parte essenziale di questa necessita storica … uno svantaggio però che nessuno paese occidentale aveva e che ha sempre rappresentato la spada di damocle per lo sviluppo Russo, specie se messa al confronto con i paesi occidentali più progrediti, non a caso Lenin sperò sempre, fino alla sua morte che anche in Germania avesse potuto scaturire una Rivoluzione … Rivoluzione che come sappiamo non ci fu e le conseguenze manco a dirlo furono devastanti.
All’arretratezza si aggiungeva l’analfebetismo di massa, altra piaga che contibui ad aumentare lo svantaggio competitivo rispetto ai paesi più progrediti dell’occidente.
Inoltre non vanno dimenticate le guerre, per ben due volte la Russia fu devastata da un conflitto mondiale che distrusse completamente il suo tessuto economico, produttivo e sociale
Possiamo quindi dire che il progresso Sovietico nella sua fase storica che parte da ’17 anni per arrivare anni 40-50 fu un vero e proprio miracolo considerando tutte le avversità …
Ma tanto del periodo sovietico sìè conservato anche oggi, pensiamo soltanto all’attuale struttura della Federazione Russa, nonostante siano passati più di vent’anni dall’introduzione del libero mercato il paese rimane ancora legato alle importazioni estera per quasi tutto ciò che concerne gli articoli di consumo, questo nonostante, almeno in linea teorica oggi il paese dovrebbe essere perfettamente attrezzato nel rispondere a qualsiasi tipo di domanda relativa ai beni di consumo (competenze tecniche e scientifiche di certo non mancano!)
Ora con le sanzioni le cose stanno cambiando ma non sarà facile conciliare una maggiore autonomia dei produttori evitando di converso un forte controllo statale tipico della loro cultura, questa sarà una sfida importante e sono già da ora curioso quale sarà l’atteggiamento dell’opposizione del principale partito di opposizione (il KPRF di Zuyganov)
E’ certamente un paradosso se vista in chiave liberale, ma l’Unione Sovietica era decisamente più indipendente rispetto all’attuale Federazione Russia, era un mondo perfettamente autosufficiente ed in sintesi un mondo che, almeno nella sua prima fase è riuscito ad imprimere enormi tassi di sviluppo
In ultimo e non certo di poco rilievo, a differenza degli Stati Uniti, l’URSS di certo non poteva vantare nella sua catena di alleanze una lunga schiera di paesi sviluppati, certamente è molto diverso avere come partner una Germania Ovest, una Francia o un Giappone (paesi modernissimi anche prima della guerra) piuttosto che tutta una serie di Repubbliche sorelle da aiutare sotto l’egida del Comecon, per non parlare dei poveri paesi africani e Cuba che ricevettero sovvenzioni per anni senza ricevere nulla o quasi in cambio … ma in fondo il Comunismo era anche questo, si collaborava in nome di principi umanistici, non in cambio di profitti.
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Io credo che il cosiddetto “crollo dell’Unione Sovietica” non sia stato un fenomeno del tutto spontaneo e naturale come si vuol far credere. Ho il sospetto che sia stata la prima delle “spontanee rivoluzioni colorate”. Che l’URSS avesse dei punti deboli è vero ed è anche normale: non c’è Paese al mondo che non ne abbia. Anche i più potenti. Quello principale dell’URSS che l’ha resa vulnerabile era la presenza di una classe dirigente in parte avida, senza scrupoli, bordeline con un certo tipo di sottobosco per così dire malavitoso, in pratica un cavallo di Troia dal quale sono poi usciti anche i saccheggiatori degli anni ’90 oltre che i distruttori della Nazione. Credo che a un certo punto, dopo le brevi transizioni di Chernenko e Andropov quella parte di classe dirigente, probabilmente tenuta a bada in precedenza o con la quale vi era una sorta di compromesso ha preso il sopravvento. In sostanza non credo sia crollata l’economia che era pianificata ed aveva tutte le risorse che le servivano, inoltre tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’80 vi era stato un notevolissimo miglioramento delle condizioni di vita comuni. Poi, certo, l’URSS era enorme in ogni senso (geograficamente e come apparato industriale) quindi è chiaro che si passava in ogni settore da punti di eccellenza ad ambiti scalcinati e scadenti, ma in Italia non è così anche ora? Infine è solo un piccolo indicatore ma è risaputo (col senno di poi naturalmente) che mentre nel periodo prima del “crollo” vi erano stati notevoli peggioramenti della distribuzione dei beni di consumo comuni come se ve ne fosse una penuria, cosa che ovviamente causava malcontento, a crollo avvenuto e “nuova gestione instaurata”, guarda caso le città vennero inondate di ogni sorta di beni usciti improvvisamente dai magazzini creduti vuoti che invece ne erano stracolmi. Chi decise di tenere i beni sotto chiave per poi aprire le porte a cose fatte?
Bellissima analisi.
Soprattutto con riferimento alla non evoluzione (o involuzione)? della Russia di oggi
(Sergei Poletaev pubblicato da FortRuss il 4 settembre 2015)
Per quanto l’autore dell’art. ,indicato qui sopra, tenti di apparire equidistante dalle ideologie ,che si sono battute per lunghi decenni nella guerra fredda,emergono troppi aggettivi che ne indicano la sua formazione ideologica e culturale.
La prova di quanto affermo? è qui più sotto ,fra parentesi ,dove la domanda retorica che pone è palesemente macchiata di razzismo culturale.
Naturalmente la mia affermazione va spiegata, ma lasciatemi dire che l’argomento venne affrontato finanche da Dostoevskij,in pagine memorabili, nel suo libro L’Adolescente,(pagg 52-53 e seguenti,cap.terzo,ed.”ET Classici” di Einaudi, in una disputa fra due intellettuali ;si confrontano (Dergaciov e Kraft, con altri presenti ) .
” Lasciate che vi spieghi : ecco ,vedete, questo signor Kraft,già abbastanza noto a noi tutti per il suo carattere e per la sua solidità delle sue convinzioni; Egli sostiene, in sostanza, che il popolo russo è un popolo si second’ordine.”
-“Di terzo, gridò qualcuno”.
_…, di second’ordine; un popolo destinato a servire da materiale ad una stirpe più nobile e non a rappresentare una parte indipendente nei destini dell’umanità.” etc.( nel frattempo altri dicono sciocchezze qualcuno ed alimentava l’ardore della contesa con altre domande),
: ” Sia pure la Russia condannata ad essere un paese di second’ordine;………; –,come come può Kraft essere un patriota, se ha cessato di credere nella Russia?” –” E per di più è un tedesco -si fece sentire di nuovo la stessa voce”-
Io sono russo -disse Kraft-
Ma qui lascio ad altri convenuti ,qui nel forum, porsi la domanda ” ma questo Poletaev è uno dei tanti intellettuali farlocchi che stanno con un piede in due scarpe come il signor Kraft , di cui parla Doistoevskij?
(In estrema sintesi: come mai nemmeno l’introduzione del capitalismo è bastata per applicare alla Russia un vero e proprio modello di sistema borghese, ovvero l’applicazione di un modello realmente liberale in grado di delegare il totale controllo della società a grandi, medie e piccole imprese gestite da capitalisti ?)