In guerra, come nella vita più in generale, il concetto di tempo è essenziale.

Nel suo capolavoro Filosofia e politica reale, il filosofo “leninista” britannico Raymond Geuss sottolinea “priorità, preferenze, tempi” (p. 30) come differenze che dividono la “politica reale” dalla filosofia astratta e universalistica che appiattisce tutto nell’insondabile ignoranza del presente senza tempo e della superficie senza profondità.

Ricordatevelo mentre festeggiate il compleanno di Putin esultando per la distruzione del ponte di Crimea – e la perdita di vite innocenti. Ricordatevelo, ve ne prego. O l’una o l’altra: si pianifica e si fa la guerra – come qualsiasi altra cosa – in vista della sua logica intrinseca – che detta il suo proprio e specifico tempo – oppure si passa all’offensiva e si colpisce con un orecchio per il pubblico e un occhio per le foto coreografiche. No, la storia del mondo e gli eventi della vita privata di Putin, o di qualsiasi altro individuo, non sono sincronizzati. Questo si chiama “delirio di riferimento”, e potrebbe essere segno di una grave malattia mentale.

Il punto che sto cercando di far capire è che, contrariamente all’Ucraina, la Russia non si affretterà a rispondere alle provocazioni simboliche in funzione di un’agenda mediatica. Big Serge [in italiano] ha spiegato in modo molto convincente che probabilmente stanno seguendo il programma dettato dalla necessità militare e politica, piuttosto che dagli “eventi” che attirano l’attenzione dei cosiddetti “politici” occidentali. A proposito, sarà stato Facebook a ricordare a Zelensky il compleanno di Putin?

Comunque sia, sarebbe un errore pensare che, a causa dei progressi degli ucraini sul terreno, l’offensiva della Russia non stia “procedendo”. Mentre il regime ucraino continua a spingere i giovani a farsi massacrare inutilmente nell’occupazione di 2000 km quadrati quasi vuoti sotto il tiro dei russi, gli sviluppi globali si susseguono nell’imbarazzata “distrazione” dei media occidentali.

Putin nel suo recente discorso, Papa Francesco da anni, e beh, chiunque altro a questo punto è in grado di dirvi che questa è una guerra globale. Il sabotaggio del Nord Stream per mano degli anglo-americani è solo un’ulteriore, inutile prova che il confronto con la Russia si estende dal Caucaso al Mar di Danimarca e oltre.

Solo pochi giorni fa una rivolta antifrancese e filorussa [in inglese] ha espulso l’ultima iterazione dei viceré parigini dal Burkina Faso. Non nego che vedere tanti africani appena liberati sventolare la bandiera russa mi ha commosso. È solo un altro passo nella lotta globale anticoloniale e di liberazione delineata da Putin nel suo discorso programmatico.

Se vi piace contare i km quadrati, il Burkina Faso si estende per 274.200. È il 74° Paese al mondo per superficie, con una popolazione di 20 milioni di abitanti: potremmo dire, una dimensione media. Lo so, lo so, tutto ciò che accade a sud del Mediterraneo e che coinvolge i neri è irrilevante finché non vengono schiavizzati e “integrati” nella metropoli: solo allora, e solo se votano “giusto” (cioè a sinistra) Black Lives Matter. Ma qualunque cosa dica – o nasconda – la propaganda dell’impero occidentale, la verità è che le colonie sono assolutamente vitali per la sua egemonia. L’Africa è il continente più giovane e forse il più ricco di risorse: non è un caso se i francesi, gli inglesi e oggi gli americani continuano a spartirsela. La Francia non sarà in grado di mantenere il proprio tenore di vita senza le sue neocolonie [in tedesco]. E quel momento sta arrivando. La Repubblica Centrafricana, il Mali e ora il Burkina si sono recentemente liberati. Ed è tutto fuorché improbabile che altri Stati dell’area lo seguano. Nelle vicinanze, Niger e Ciad soffrono ancora sotto il giogo francese, ma non passivamente. Il dittatore ciadiano Idriss Déby è morto per mano dei ribelli nel 2021, e il suo giovane figlio è ora alla guida del Paese. La giunta locale ha appena rinviato le elezioni libere di altri due anni, ma ovviamente, trattandosi di amici della NATO, non leggerete o sentirete parlare di violazioni della democrazia.

In un altro plesso del potere mondiale, il Medio Oriente sta subendo una trasformazione di portata sismica, poiché le divisioni che definivano la regione non possono più essere date per scontate. È già da tempo che la Turchia ha timidamente riavviato un dialogo con la Siria. L’Iran si è ulteriormente avvicinato alla Russia e alla Cina entrando nella SCO. Oltre ad essere la chiave per assemblare un’unione di Stati del Caspio, ricca di rilevanza strategica ed economica, anche turistica, Teheran è spinta tra le braccia delle potenze continentali dalle politiche suicide dell’Occidente. Divide et impera, divide et impera, è il leitmotiv di ogni impero almeno dai tempi dei Romani. Gli Stati Uniti l’hanno seguito con attenzione, ad esempio quando hanno diviso l’Unione Sovietica dalla Cina sotto l’amministrazione Nixon. Ora provocano la Cina a Taiwan, mentre combattono una guerra ibrida con la Russia in Ucraina, e con il loro terzo braccio immaginario credono di poter rovesciare gli ayatollah. Evidentemente questa arroganza ha da tempo divorziato dalla ragione. Gli Stati Uniti non sono riusciti a dare il colpo di grazia negli anni ’90 e nei primi anni 2000, quando Russia e Cina erano impegnate con i propri problemi, se non aiutando attivamente l’Occidente. Immaginare che possano avere successo dopo decenni di declino interno, mentre combattono contro una coalizione decolonizzante rafforzata, e allo stesso tempo rincorrendo tentativi contraddittori di distensione per segnalare la discontinuità con Trump, è peggio che assurdo. La SCO dovrebbe premiare #Iranianlivesmatter, #Iranrevolution, le donne che si tagliano i capelli in tutto il mondo e simili come la sua più efficace campagna di PR.

Per quanto rilevante, questa non è nemmeno la svolta più significativa e impressionante che è stata presa negli ultimi giorni. Anche la stampa occidentale non ha potuto ignorare il “dettaglio” che l’OPEC+, al suo vertice di Vienna, ha brutalmente distrutto le speranze degli Stati Uniti di evitare una riduzione della produzione di petrolio per mantenere i prezzi bassi. Dopo aver giocato con le sue dichiarazioni, i giornalisti hanno sfidato il rappresentante saudita, che ha finito per rifiutarsi di rispondere alle domande della Reuters. Probabilmente non hanno capito che l’arroganza imperiale degli Stati Uniti non è più ingoiata con lo stesso servilismo in tutto il mondo. Ma la cosa più interessante è che i sauditi hanno anche spiegato di non essere stati convinti dalla Russia, ma di stare semplicemente proteggendo gli interessi economici del loro Paese. Ancora più scandaloso per le orecchie americane! Parlano di interessi che non sono i nostri! Come si permettono!

A questo punto, persino Biden deve essersi reso conto che ci sono ragioni più profonde dietro la scelta del principe saudita di riagganciargli in faccia già a marzo, oltre ad infliggere a lui e al governo americano l’ennesima umiliazione sulla scena mondiale. Non solo gli Stati Uniti sono stati finalmente spazzati via in una delle regioni più importanti del mondo: quest’ultima viene attivamente rimodellata dall’odio nei loro confronti. Il Medio Oriente collega tre continenti, tra cui i due più grandi, per non parlare di oceani e mari, e controllando i suoi stretti [in inglese] gli anglo-americani sono riusciti a soffocare l’economia mondiale per oltre un secolo. Aggiungiamo la famigerata ricchezza di risorse della regione. Non è un caso che lo stesso Raymond Geuss [in inglese] consideri la perdita del controllo dello Stretto di Suez da parte degli inglesi nel 1956 come la fine del loro impero, più dell’indipendenza dell’India. Non dimentichiamo che ciò fu “facilitato” dalla minaccia di Kruscev all’ONU di ricorrere ai missili nel caso in cui le potenze coloniali non si fossero ritirate dall’Egitto.

La regione ha continuato ad essere lacerata dall’abile sfruttamento da parte dell’Occidente delle sue diversità ideologiche, sociali, nazionali e soprattutto religiose: prima fra tutte, il conflitto tra musulmani sciiti e sunniti. Queste sono alla base della più drammatica – e quasi completamente ignorata – crisi umanitaria del nostro tempo: la devastazione dello Yemen.

Non sarà facile, ma se gli interessi di Paesi opposti come l’Arabia Saudita e l’Iran dovessero allinearsi, con un piccolo aiuto da parte dell’ostile risentimento americano nei confronti dell’indipendenza di entrambi, e forse una spinta amichevole da parte della Russia (e della Cina), questo sarebbe un colpo devastante per l’egemonia occidentale. Molto più dell’occupazione temporanea di non so quanti campi da calcio nell’Ucraina rurale.

Infine, non dimentichiamo le Americhe. Uno dei più espliciti ammiratori della Russia, la Repubblica Bolivariana del Venezuela, non è attualmente rappresentata nell’Organizzazione degli Stati Americani. Eppure, quando il 7 ottobre l’OSA ha votato una risoluzione di condanna dei referendum russi, Brasile, Argentina e Messico hanno votato contro [in inglese].

Naturalmente, nell’ottica della “democrazia” distorta dell’Occidente, i 24 Stati che hanno votato a favore contano di più. Ma se si escludono gli Stati Uniti e il Canada per ovvie ragioni, gli Stati come St. Kitts e Nevis non contano certo quanto le più grandi nazioni ed economie del continente. È la stessa logica per cui Biden si vanta della maggioranza degli Stati che hanno condannato la Russia all’Assemblea Generale dell’ONU: se tre quarti dei Paesi hanno effettivamente votato a favore, tra gli astenuti ci sono India, Cina, Pakistan, Vietnam e altri immensi attori mondiali. Ancora più evidente è la sconfitta diplomatica sulla risoluzione per rimuovere i rappresentanti dell’opposizione [in inglese] venezuelana dall’OSA: solo Stati Uniti, Canada, Guatemala e Paraguay hanno votato contro. La risoluzione non è passata, a causa di un numero significativo di astenuti e del requisito della maggioranza dei 2/3, ma è comunque un sonoro schiaffo agli Stati Uniti nel giardino di casa.

Così, mentre gli araldi dell’Impero ci vendono allegramente meme e video Tik-Tok sul falò terroristico sul Ponte di Crimea, abbiamo ancora molte e significative ragioni per annuire rileggendo la diagnosi di Putin sull’emergere di un mondo libero, sovrano e multipolare, e sulla fine dell’egemonia occidentale che è ormai inesorabile..

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Articolo di Jo Red pubblicato su The Saker il 14 ottobre 2022
Traduzione in italiano di JoRed per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore] 

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