Il risultato del “voto nazionale” della Russia su una serie di emendamenti alla costituzione serve a riaffermare che, per la maggior parte dei russi, il paese deve decidere da solo il suo percorso, indipendentemente dalle opinioni degli estranei.

Alla fine, il margine è stato enorme. Gli exit poll suggerivano che circa il 70% degli elettori avrebbe detto “sì” ai 206 emendamenti alla propria costituzione e quasi il 30% avrebbe respinto le modifiche. I risultati ufficiali danno [in inglese] il “sì” a oltre il 78% , con il 99% delle schede conteggiate.

Membri di una commissione elettorale locale contano i voti ad un seggio di Mosca in seguito ad un voto nazionale di sette giorni sulle riforme costituzionali, 1 luglio 2020.© REUTERS/Evgenija Novoženina

Persino gli organizzatori politici liberali di Mosca hanno ammesso che i loro stessi exit poll mostravano l’appoggio della capitale alle proposte di Vladimir Putin. Inoltre, questi conteggi hanno rivelato come la maggioranza degli elettori in numerosi distretti di Mosca con consigli locali controllati dall’opposizione [in russo] avesse appoggiato il “sì”.

Una cosa dimenticata in quasi tutte le speculazioni occidentali è che il processo (etichettato erroneamente come un “referendum” da alcuni media americani e inglesi) non era assolutamente necessario. Il sostegno ricevuto da Putin in primavera dalla Duma (parlamento), dalla Corte Costituzionale e da tutti gli 85 soggetti federali era sufficiente. Tuttavia, il presidente ha deciso di organizzare un “plebiscito di conferma” per ottenere un’ampia legittimità pubblica per il suo progetto. Pertanto, il voto stesso riguardava principalmente se Putin avesse ancora un mandato popolare per mantenere il suo dominio sulla politica russa.

È stata una “campagna” curiosa, con i principali oppositori del Cremlino relativamente silenziosi. In effetti, il Partito Comunista è stato eccezionalmente più vocale e schietto del solito, chiedendo con enfasi il “no”. Il leader veterano Gennadij Zjuganov lo ha definito “deludente e deprimente”.

Aleksej Naval’nyj aveva etichettato la costituzione esistente “disgustosa” a gennaio, dicendo [in inglese] che conteneva “i meccanismi utilizzati per usurpare il potere” e dicendo ai suoi sostenitori “Non difendetela”.

Quel documento risale al 1993, quando l’allora Presidente Boris Eltsin la introdusse, con il sostegno occidentale, per creare un sistema “iper-presidenziale”. Arrivò dopo che il parlamento controllato dai comunisti tentò di incriminare il leader filo-occidentale e fece ricorso alla forza militare per mantenere il potere, il che portò alla morte di 187 persone e a 437 feriti.

Mercoledì sera, una protesta nel centro di Mosca è stata così poco frequentata e tiepida che la polizia ha consegnato [in inglese] mascherine ai manifestanti, pensando al Covid-19. Non si può certo parlare di braccio violento dello stato che schiaccia la resistenza. Una manciata di dissidenti che si è radunata sulla Piazza Rossa, senza permesso, sono stati arrestati e poi rilasciati rapidamente.

La polizia russa distribuisce mascherine protettive alle manifestazioni non autorizzate contro gli emendamenti costituzionali #Moscow #COVID19 https://t.co/LMV1GhvxA5 pic.twitter.com/3HxjW7Q8xU
– RT (@RT_com)
1 luglio 2020

In verità, il Cremlino aveva lasciato all’opposizione un compito ingrato. Anche se quest’ultima si fosse opposta al piano di annullamento dei limiti di mandato di Putin, molte delle misure popolari incluse in esso erano difficili da contrastare senza offendere ampie fasce di elettori: ad esempio, ai funzionari pubblici viene vietato detenere conti bancari all’estero e cittadinanza straniera, un divieto di cedere qualsiasi territorio russo e una garanzia che il salario minimo non sarà inferiore al costo della vita.

Un uomo con indosso una visiera protettiva riceve un voto ad un seggio durante una votazione nazionale durata sette giorni sulle riforme costituzionali nell’ambasciata russa di Minsk, Bielorussia, 1 luglio 2020. © REUTERS/Vasilij Fedosenko.

Piaccia o no, alcune persone sono state anche attratte dalla clausola che vieta il matrimonio tra persone dello stesso sesso e un’altra che dice che i russi etnici devono essere riconosciuti tra i fondatori dello stato. Un altro cambiamento popolare è stata la disposizione che riconosce il moderno stato della Federazione Russa come successore dell’URSS e preserva la sua eredità come la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, alimentando così il tipo di militarismo che molti liberali trovano disgustoso.

Un altro problema è la costanza con cui i sondaggi hanno dimostrato che la maggioranza dei russi vuole, in realtà, che Putin rimanga al potere dopo le elezioni del 2024. Solo l’estate scorsa, Levada (un’azienda di sondaggi di tendenza occidentale, indipendente dal Cremlino) ha scoperto [in inglese] che il 54% dei russi vorrebbe che restasse lì almeno fino al 2030. Solo il 38% lo voleva fuori tra quattro anni.

La copertura mediatica del processo da parte dei media occidentali è stata piuttosto bizzarra, concentrandosi quasi esclusivamente sulla questione dei limiti per i mandati di Putin, ignorando o trascurando il fatto che la stragrande maggioranza dei russi continua a sostenere chiaramente il suo sistema. Una volta questo potere era attribuito alla “TV di stato”, ma oggi, quando Internet sta cominciando a sorpassare la scatola degli zombi come principale fonte di notizie, quell’argomento non sofisticato è chiaramente ridondante.

La Russia non è una dittatura e Putin non è un dittatore. La struttura è “morbidamente” autoritaria e, per mantenere il potere, si basa sul consenso della maggioranza. Le disposizioni della nuova costituzione, in particolare i limiti di mandato per i futuri Presidenti e l’immunità dopo aver lasciato l’incarico, suggeriscono anche che il Presidente vuole continuare con una forma di governo rappresentativo.

Il Cremlino chiaramente non sta cercando di percorrere la via cinese o sovietica, ma non vuole nemmeno abbracciare la “democrazia liberale” in stile occidentale. Così come la Russia stessa è sia in Europa che in Asia ma non veramente “di” nessuno dei due, il suo governo, la sua struttura e le sue procedure elettorali rimarranno chiaramente, in qualche modo, uniche. Dopo il voto di mercoledì, è evidentemente quello che vogliono la maggior parte dei russi stessi. Almeno per il prossimo futuro, comunque.

Tuttavia, aspettatevi gli infiniti titoli dei media statunitensi e inglesi che prevedono l’imminente collasso della Russia. Per oltre vent’anni si sono sempre sbagliati e quasi sicuramente saranno imprecisi per almeno altri venti.

 

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Articolo di Bryan MacDonald pubblicato su Russian Faith il 3 luglio 2020.

Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.

[I commenti in questo formato sono del traduttore]

 

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