Non scrivevo previsioni sulla Russia da anni. Sopratutto perchè non ne valeva la pena, non era cambiato nulla, i processi di base stavano semplicemente andando per la loro strada e non c’erano cambiamenti da descrivere. Oggi la situazione è mutata e questo richiede una nuova previsione.
Non ci saranno analisi delle previsioni precedenti dal momento che è passato troppo tempo. Questa proiezione parte da zero (al contrario delle previsioni in campo economico). Farò comunque riferimento a certuni aspetti delle ipotesi precedentemente formulate, in quanto è ormai difficile ritrovare le fonti più vecchie.
Cominceremo con una descrizione dell’elite russa. Le elites russe emersero durante il processo di disintegrazione della società socialista nella sua fase finale, e servirono alla realizzazione di due progetti fondamentali, voluti da due gruppi di persone abbastanza potenti: il crimine organizzato e i funzionari dell’apparato sovietico di medio e basso rango. Questi progetti erano 1) arrivare alla completa eliminazione della responsabilità statale verso il resto della società e 2) assicurare il trasferimento dinastico del loro status e della loro ricchezza. Il secondo obbiettivo fu raggiunto con l’introduzione della proprietà privata e il primo con l’eliminazione di tutte le infrastrutture più o meno funzionanti dello Stato.
Dalla fine degli anni ’90, quando divenne chiaro che lo stato non poteva esistere senza una forma di organizzazione (c’era il problema della conservazione delle ricchezze ottenute con le privatizzazioni), il comportamento politico delle elites andò incontro a cambiamenti. In particolare, vennero adottate alcune regole (per esempio ci fu l’accordo di non rendere pubbliche le dispute intra-elites). Per far funzionare questa regole occorreva poi trovare un arbitro, che non solo potesse risolvere i problemi fra i vari membri delle elites, ma che fosse anche in grado di gestire le loro risorse finanziarie, prevenendo eventuali sviluppi politici contrari ai loro interessi.
La ricerca di un arbitro del genere richiese un certo tempo, tempo che fu comunque utilizzato in maniera proficua (fu iniziata l’introduzione delle forze di sicurezza all’interno delle elites). Questo non solo stabilizzò la struttura dell’elite, ma queste forze di sicurezza “siloviki” divennero anche uno strumento per migliorare l’efficacia dell’arbitraggio. Finalmente venne scelto un arbitro, uno che aveva già risolto problemi simili nella capitale russa del crimine degli anni ’90, San Pietroburgo.
Egli non prese solo le redini del potere. Portò con sè anche il concetto di base con cui era cresciuto, quale deve essere il posto della Russia nel mondo. Questo pensiero nasce storicamente alla fine degli anni ’50, se non prima. E’ probabile che questo concetto sia stato introdotto nel gruppo dirigente sovietico da Otto Kuusinen riferendosi principalmente all’idea di “convergenza”. La convergenza delle elites dell’Occidente con quelle dell’Unione Sovietica. Prima dell’ascesa al potere di Putin, l’elites russe non prendevano in considerazione il destino della Russia, nella migliore delle ipotesi consideravano se stessi dei proconsoli dell’Occidente, l’obbiettivo era quello di rubare sempre di più, portare e nascondere in Occidente tutto quello che era stato rubato e ripetere il processo il più a lungo possibile. L’odierna elite ucraina ricalca esattamente questo comportamento. Putin lo ha cambiato (in Russia).
Bisogna tener presente che la scomparsa di certi membri dell’elite, Berezovsky, Gusinsky e Khordorovsky, non fu una decisione personale di Putin ma concertata con il resto dell’elite. Tutti quelli che rifiutavano apertamente di seguire le regole venivano espulsi dall’elite. Generalmente questo riguardava coloro che, una volta cadute le regolamentazioni statalistiche, rifiutavano di sottostare ai nuovi codici di comportamento, nonostante questi fossero volontari e assai poco limitanti. A tutti gli altri membri dell’elite, soprattutto quelli privi di sostanziali mezzi di autodifesa, non andava a genio questa insubordinazione, specialmente quella dei tre (la troika) sopranominati. In questo modo si raggiunse il consenso di tutta l’elite.
Putin riuscì inoltre a dare un significato aggiuntivo all’“affare Khordorkovsky”, lo usò come strumento per costringere gli oligarchi degli anni ’90 a pagare le tasse. In Ucraina non c’è stato un analogo del “caso Khordorkovsky”, gli oligarchi lì non pagano tasse e i risultati sono evidenti. Dobbiamo ora fare una digressione:
L’ascesa al potere di Putin coincise con quella negli Stati Uniti del repubblicano Bush Jr., falco e imperialista. Subito dopo ci fu la crisi dell’11 settembre 2001. Dal punto di vista della politica interna americana, questo fu l’inizio della crisi economica. (Lo avevo dichiarato più volte e il 10 settembre 2001 avevo messo in guardia su http://worldcrisis.ru/crisis/86502 sul fatto che il governo americano non fosse in grado di riconoscere che i dati economici dell’estate erano stati assai scadenti, tanto da dover addossare la colpa di una tale situazione a variabili esterne). Bush aveva bisogno di alleati perchè si era lanciato in una politica (la guerra in Iraq) che non sarebbe stata approvata dalla comunità internazionale.
Se Clinton considerava gli esponenti dell’elite russa di quel periodo dei selvaggi che avrebbero accettato perline colorate in cambio della firma di qualsiasi trattato (“Sakhalin 2” ne è un esempio), Bush, per un certo periodo, fu disponibile a riconoscere qualche sorta di diritto a Putin e alla Russia. Aveva altre priorità e la sua visione dei problemi energetici mondiali era simile a quella di Putin. Inoltre Bush era irritato da Khordorkovky e dai suoi intrighi con i cinesi. Per questo Putin ebbe per un certo periodo carta bianca, non solo all’interno, ma anche, (in modo relativo) all’esterno della Russia. In ogni caso la sua politica estera era severamente limitata. Come disse una volta il Segretario di Stato Condoleeza Rice:”Gli interessi della Russia finiscono ai suoi confini”.
Per due mandati consecutivi Putin governò l’elite russa sulla base di un consensus che si fondava sul concetto di convergenza, per poi dare tranquillamente le dimissioni dalla carica. “Lavoravo come uno schiavo ai remi”, non è una licenza poetica, ma una corretta valutazione della situazione: il manager che era stato assunto e che aveva lavorato per due mandati, aveva deciso di ritirarsi. Selezionò dei candidati all’interno dell’elite e alla fine venne scelto un liberale proveniente dai servizi di sicurezza, Medvedev, che assunse la presidenza. E fu allora che incominciarono i problemi.
Questi problemi erano legati all’economia. La crisi del 2008 si rivelò estremamente sfavorevole per l’elite e fu gestita male fin dall’inizio (impossibile farlo senza responsabilità manageriale, e la responsabilità era stata la prima cosa ad essere stata eliminata). I flussi finanziari si ridussero drasticamente e di conseguenza aumentò drammaticamente il ruolo dell’arbitraggio. Medvedev chiaramente non era all’altezza della situazione. Il miglioramento che avvenne fra il 2009 e il 2011 non fu sufficiente, e di conseguenza l’elite chiese a Putin di ritornare. Per essere più precisi, una parte dell’elite.
C’erano i più zelanti collaborazionisti (guidati e coordinati da Voloshin e Yumashev). Anche l’idea di convergenza sembrava loro troppo autonoma e rifiutavano categoricamente di assumersi una qualsiasi responsabilità per gli affari interni della nazione. In particolare essi erano perfettamente appagati nell’eseguire i dettami dell’FMI riguardanti la politica economica del governo. Non volevano il ritorno (di Putin), e organizzarono quello che venne chiamato il “movimento della palude” [con riferimento alle manifestazioni anti-Putin culminate in Bolotnaya ploshchad, -Piazza della palude- situata nel centro di Mosca, nei pressi del Cremlino- NdT], con l’intento di far sorgere dubbi sui risultati delle elezioni presidenziali.
Come sappiamo il “movimento della palude” non ebbe successo. Putin non fu semplicemente rimesso in carica, ma fu eletto con un mandato completamente diverso da quello del 2000. Allora egli era stato chiamato dall’elite, era un manager sotto contratto senza la possibilità di cambiare le regole di base. Bisogna notare qui che io non parlo dei suoi desideri personali, ma solo delle sue possibilità. Dopo il 2012 la situazione cambiò radicalmente, Putin aveva ricevuto un mandato popolare ed ora aveva il diritto di fare cambiamenti sostanziali.
Di tali cambiamenti c’è urgente bisogno, mi riferisco ad una analisi fatta da Andrei Fursov e pubblicata qualche anno fa. Il fatto è che la Russia, nella sua storia, si è trovata in situazioni difficili ogni qualvolta una necessità urgente di modernizzazione si è scontrata con l’avversione del gruppo dirigente al portare avanti un tale processo. La struttura dello Stato russo, ereditata prima dall’Impero Romano e poi da quello Bizantino (vedi http://worldcrisis.ru/crisis/1817898), è quella dove il Capo dello Stato ha la funzione di proteggere il popolo dall’elite dominante. Ne segue che un legittimo governante deve, a qualunque costo, favorire il processo di modernizzazione. E nel corso dei secoli una tale esperienza si è accumulata.
Il primo processo di modernizzazione avvenne nel 16° secolo. L’Europa Occidentale aveva già fatto una scelta. Era stata legalizzate la pratica del prestito, e questo aveva consentito l’inizio del capitalismo e di un periodo di sviluppo scientifico e tecnologico. (In Russia) abbiamo invece la medesima oligarchia conservatrice, che qui chiameremo genericamente Rurikiti [la Rus’ di Kiev (in ucraino: Київська Русь?, traslitterato: Kyїvska Rus’; in russo: Киевская Русь?, traslitterato: Kievskaja Rus’) fu uno stato medievale monarchico sorto verso la fine del IX secolo in parte del territorio della odierna Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia e Estonia orientali, considerata il più antico stato organizzato slavo-orientale, del quale Kiev fu a lungo la capitale. Nelle fonti medievali viene chiamato Rus’ oppure Terra di Rus’; il nome Rus’ di Kiev fu introdotto dallo storico russo Nikolaj Karamzin, NdT] che limitava fortemente tutti i tentativi di modernizzazione. Questo è il motivo dell’ascesa di Ivan il Terribile e dei suoi scontri sanguinosi con l’elite dell’epoca, e faccio notare che per la gente Ivan rimane un progressista. Questo è in linea con il modo di pensare bizantino.
Le riforme di Ivan il Terribile non vennero completate, in compenso riuscì quasi a farlo Boris Godunov (che fu, secondo molti storici, il miglior amministratore della Russia). La sua morte interruppe il processo di riforma e i Rurikiti ebbero la loro vendetta. Comunque non escludo che la scelta di far salire sul trono Mikhail Romanov fosse effettivamente il volere della società russa: dopo il breve regno di Basil Shumsky sarebbe andato bene chiunque non fosse appartenuto alla dinastia dei Rurik.
Le riforme di Ivan il Terribile, ancorchè parziali, vennero finalmente completate da Pietro I. Il processo di modernizzazione fu prima ritardato e poi completato in gran fretta, le condizioni di vita erano così difficili che la popolazione della Russia diminuì. Pietro stesso entrò nella memoria della nazione con la fama di Anticristo.
Questi problemi si ripresentarono poi durante la seconda metà del XIX secolo. Questa volta il principale antagonista al cambiamento fu il gruppo dirigente ancora di stampo feudale (convenzionalmente i “granduchi”), cosa che portò alla rivoluzione del febbraio e ottobre 1917. La rivoluzione fu incapace di portare a termine il processo di modernizzazione e il problema si ripresentò all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso. Questa volta i conservatori che si opponevano alle riforme erano i “Vecchi Bolscevichi”, che preferivano godersi la vita piuttosto che fare sacrifici per la nazione. In questo periodo prese il potere Stalin e il suo processo di modernizzazione fu un completo successo (ed è proprio nell’attuazione delle riforme che egli si rivelò come uno dei nostri migliori leader). Lo ribadisco qui: lo stesso stile bizantino, un leader che protegge il popolo dallo strapotere dell’elite.
Negli anni ’80 si ripresentò il problema. In teoria il processo di modernizzazione avrebbe dovuto essere portato avanti secondo la tradizione bizantina, nominare cioè un capo che con l’appoggio popolare, avrebbe dovuto combattere le forze della conservazione e sconfiggere la nomenklatura e la mafia affaristica. Le risorse per fare questo erano disponibili, come si può vedere dall’esperienza bielorussa degli ultimi 20 anni. Ci fu invece una rivoluzione che portò al potere la nomenklatura, il Primo Segretario dell’Unione delle Repubbliche acconsentì allo smembramento della nazione e il resto lo conosciamo.
Se l’elite favorevole al processo di globalizzazione con l’Occidente fosse stata in grado di portare a termine il suo progetto, così come era stato previsto negli anni ’80 e ’90, oggi non ci sarebbe storia, prima o dopo la Russia sarebbe stata soggiogata. Cominciò invece la crisi (e qui potete leggerne le ragioni: http://worldcrisis.ru/crisis/1060229) che ha portato ad una situazione geopolitica abbastanza complessa e che non è facile comprendere. Inizierò qui con la previsione riguardante il principale conflitto interno russo.
L’elite russa moderna è composta da tre gruppi principali. Il primo gruppo, liberal-familiare, i cui leader riconosciuti sono Voloshin, Yumashev, Chubais e Kudrin. Sono gli oligarchi della prima generazione che si godono i frutti delle privatizzazioni, dell’evasione fiscale, della corruzione e del ladrocinio. Sono conosciuti come “Liberali”. Il principale problema che hanno è che essendo le loro attività in perdita, si riduce la loro capacità di usare a fini privati le risorse dello Stato. Inoltre la lotta per l’accaparramento delle risorse nazionali è sempre più dura ed è sempre più difficile riciclare denaro in Occidente. Le uniche opzioni che rimangono loro sono: a) scontrarsi con Putin in modo da ritornare alla situazione degli anni ’90. In questo caso la Russia dovrebbe diventare un “protettorato dell’Occidente”. b) cercare di “schiacciare” i gruppi concorrenti; c) abbandonare la Russia e fuggire all’Ovest. L’ultima possibilità diventa sempre meno fattibile, dal momento che l’Occidente ha fatto capire più volte di non essere disposto ad accettare gli oligarchi come tali. Salvo poche eccezioni sono uomini d’affari assai scadenti e ogni tentativo d’emigrazione finirebbe sicuramente con la povertà.
Questo gruppo controlla quasi completamente le politiche finanziarie ed economiche della nazione, con i suoi burocrati quasi totalmente sotto le “amorevoli attenzioni” dell’elite finanziaria mondiale (che opera attraverso l’ FMI). Faccio notare che questa elite finanziaria mondiale è solo una parte dell’elite del progetto globale occidentalista, ma negli ultimi 100 anni, dopo la creazione della Federal Reserve, essa ha avuto un ruolo predominante nello sviluppo delle politiche finanziarie ed economiche (mondiali). I “Liberali” sono in Russia i principali oppositori di ogni forma di sviluppo, (che va contro gli interessi del progetto occidentalista) e questo ha portato alla marginalizzazione di questo gruppo che ha cessato da lungo tempo di avere un suo programma politico. Questo è evidente se guardiamo al prossimo Forum Economico di Krasnoyarsk: http://worldcrisis.ru/crisis/1839439.
Il secondo gruppo è quello dei servizi di sicurezza e degli oligarchi di seconda generazione degli anni 2000. Non esistono capi riconosciuti, ma esiste una sorta di complicata leadership collettiva. Hanno diverse opzioni a loro disposizione: primo, possono fare pressioni sugli oligarchi e sugli affaristi “liberali” per trasformarli in rifugiati politici e spingerli a ricercare protezione in Occidente. Protezione che però è sempre più limitata e dipendente dal coinvolgimento politico (Khodorkovsky). Questa non è una strategia a lungo termine.
La seconda opzione sarebbe quella dell’instaurazione di una rigida politica autarchica e la trasformazione della Russia in uno stato totalitario. In un certo senso questa sarebbe un’estremizzazione della prima opzione. L’idea di fondo è questa: dal momento che l’Occidente è destinato ad una crisi totale, la cosa più importante deve essere la sopravvivenza ad ogni costo. I “liberali” sono sospettati, e neanche a torto, di rappresentare gli interessi dell’Occidente, per questo bisogna allontanarli dal potere il più velocemente possibile in quanto fautori di un’economia egemonizzata dal dollaro e dall’FMI.
In un certo senso questo programma si potrebbe definire progressista in quanto comporta l’”intercettazione” dei flussi finanziari provenienti dal settore “liberale” e l’intensificazione della modernizzazione economica in un’ottica di industrializzazione pre-bellica. Da dove dovrebbero arrivare queste risorse economiche e chi dovrebbe portare a termine i conseguenti programmi di sviluppo, non è chiaro. Comunque una cosa è certa: i “siloviki” non possono, con le loro sole forze, attuare questi programmi. Hanno bisogno di un aiuto supplementare, devono creare, partendo da zero, una elite manageriale che gestisca lo Stato a tutti i livelli. Fu già fatto negli anni ’30.
Il terzo gruppo, che non dovrebbe essere sottovalutato, è quello delle elites regionali. Queste hanno ormai abbandonato i vecchi progetti degli anni ’80 di smembramento della nazione (hanno visto i risultati delle riforme nelle ex repubbliche sovietiche) e in questo senso sono favorevoli a sostenere un eventuale governo forte a Mosca. In teoria dovrebbero appoggiare i “siloviki”, (con i ”liberali” c’è rischio di collasso economico ed instabilità), ma sempre lottando disperatamente per mantenere privilegi e accesso ai fondi pubblici. In ogni caso, questo gruppo, in una nazione che va costruendo un sistema politico basato su equilibri e compromessi, va considerato un attore di primo piano.
Tutte le altre forze in Russia (“la sinistra”, monarchici, nazionalisti russi e così via) sono estremamente marginalizzate ed incapaci di ogni rafforzamento. L’unica eccezione sono i movimenti patriottici che si sono consolidati dopo i fatti dell’Ucraina. Non hanno ancora dei capi ben definiti, ma hanno acquistato decisamente peso presso i “siloviki” di secondo livello e nella gioventù “liberale”. Se la situazione economica dovesse drasticamente peggiorare, allora il discorso sarebbe diverso, e questo gruppo potrebbe cambiare l’assetto politico della nazione.
La situazione, nella globalità mondiale, è ancora più complessa. Il “caso Strauss-Khan” ha diviso l’elite finanziaria mondiale e compromesso l’intero progetto globalista occidentale. Il fatto è che, secondo la nostra teoria sullo sviluppo del capitalismo, le risorse per la crescita sono ormai terminate. Ne risulta che il progetto occidentalista non è più sostenuto da un programma politico concreto. Globalmente questo ha portato ad un netto aumento dell’anti-americanismo e vediamo come ormai, in diverse nazioni, siano andate al potere delle contro-elite esplicitamente contrarie agli Stati Uniti. Anche se in teoria esse non vogliono distruggere il sistema esistente, scopriranno però che continuare così è sempre più difficile, dal momento che una redistribuzione dei flussi finanziari provenienti dagli Stati Uniti non è più possibile, e tutto questo senza considerare l’accelerazione della crisi economica.
In realtà, l’elite del progetto occidentalista si può dividere in alcuni sottogruppi in feroce competizione l’uno con l’altro, dal momento che, con il peggioramento della crisi, non tutti possono avere un posto sul treno dell’abbondanza. Fondamentalmente ci sono tre gruppi. Il primo è rappresentato da quelle elite che non possono abbandonare l’attuale sistema finanziario, basato sul prestito. Sono queste le grosse banche e le istituzioni finanziarie, la burocrazia, in generale sia finanziaria che politica, delle varie nazioni (ma non degli Stati Uniti). La loro situazione è molto difficile, dal momento che non sono riuscite a piazzare il loro uomo (Larry Summers) alla presidenza della Federal Reserve. Faccio notare che questo gruppo controlla l’ala “liberale” del management russo, varie personalità di governo, la Banca Centrale, esperti e docenti delle maggiori scuole russe di economia e dell’Istituto Gaidar. Sembra che non abbiano trascurato quasi nulla.
Il secondo gruppo è quello collegato all’elite nazionale degli Stati Uniti. Possiamo dire che esso persegue due progetti pratici, uno massimalista ed uno minimalista. Il primo è quello di creare una zona di libero scambio fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea, lasciando che il resto del mondo sprofondi nel caos totale. Questo programma, che potremmo convenzionalmente chiamare “la città sulla collina”, in teoria potrebbe consentire la conservazione dell’attuale standard di vita di quel mezzo miliardo di fortunati che vivono negli Stati Uniti e in alcune nazioni dell’Europa Occidentale, mantenendo al potere l’elite del progetto occidentalista mondiale.
Il vantaggio principale di questo scenario è il mantenimento della borghesia americana a spese dei (relativamente ricchi) europei, cosa che a sua volta permetterebbe la continuazione del modello socio-economico degli Stati Uniti. Se non funziona, non ci sono alternative.
Se questo progetto non si realizza (ho la mia opinione in proposito ma non è questo il luogo dove discuterne), potrebbe esserci il crollo delle valute occidentali, euro e dollaro, che coinvolgerebbe Stati Uniti ed Europa Occidentale. Questo comporterebbe inevitabilmente una notevole diminuzione del tenore di vita delle popolazioni e del livello tecnologico. Questo scenario deve essere evitato.
Il terzo gruppo è quella parte dell’elite finanziaria mondiale (lo ribadisco, la parte più grossa e più ricca dell’elite del progetto occidentalista globale) che non è direttamente correlata con gli Stati Uniti. Le sue basi sono quei settori finanziari del vecchio impero britannico associate di solito con il nome dei Rothschild. L’evidenza indiretta dei fatti fa sospettare che il principale obbiettivo di questo gruppo è quello di suddividere il mondo in blocchi commerciali, mantenendo però il controllo su tutti gli interscambi. Questo gruppo non è favorevole allo scenario della “città sulla collina”, da cui verrebbe drammaticamente indebolito. Ecco il motivo per cui esso ricerca contatti in Russia fra i “siloviki” e sostiene in tutti i modi la creazione di un sistema finanziario basato sul rublo e l’integrazione euroasiatica, cosa che trasformerebbe il rublo in valuta di riserva.
Gli schieramenti descritti in precedenza coprono praticamente la totalità delle tendenze presenti nella società russa. I “liberali” hanno portato l’economia russa alla crisi. La recessione iniziò realmente a fine 2012. Il sistema finanziario mondiale ha bisogno di risorse e il flusso di liquidità proveniente dai burocrati americani è diventato gradualmente un rigagnolo. Questo è il motivo per cui la Banca Centrale e il Governo Russo (il Ministero delle Finanze in primo luogo) continuano ad incoraggiare attivamente il ritiro di capitali e la loro riconversione in dollari (nonostante esista una buona probabilità di non rivedere più questi soldi). Comunque (i “liberali”) sono terrorizzati dall’idea di essere estromessi dal potere in quanto non hanno nessun’altra fonte di introiti all’interno dell’amministrazione. Se dovesse succedere, perderebbero tutti i loro beni in Russia per un anno o due, ma in Occidente, in mancanza di aiuto dalla Russia, finirebbero con l’essere marginalizzati per diversi anni.
Dal punto di vista degli interessi nazionali (e considerando la posizione di chi ha il mandato del popolo), Putin avrebbe dovuto epurare i “liberali” già da molto tempo. Il loro atteggiamento verso i “decreti di maggio” [vasto programma per lo sviluppo di forme di protezione sociale, voluto da Putin nel 2012, immediatamente dopo l’elezione al suo terzo mandato in adempimento alle promesse elettorali, NdT] era stato chiarissimo! Bisogna fare però una considerazione di tipo politico; dal momento che esistono solo due centri attivi di potere, l’eliminazione dei “liberali” avrebbe automaticamente reso Putin completamente dipendente dai “siloviki”. Questo gli avrebbe tolto ogni libertà di movimento, in contrasto con quanto richiesto dal suo mandato popolare.
Penso sia questo il motivo per cui Putin non abbia epurato i burocrati “liberali” nonostante il loro palese sabotaggio. La cacciata dei “liberali” avrebbe significato una intensificazione della politica anti-americana, l’ascesa al potere della contro-elite e il confronto diretto con gli Stati Uniti. Noi, chiaramente, non siamo pronti a questo, specialmente dal punto di vista economico. C’è una seria minaccia di sanzioni severe e noi abbiamo delle zone di gran debolezza nella nostra economia. Non abbiamo neanche grano da semina, allevamenti, neanche uova da incubare in batteria. In tale situazione, ogni cambiamento improvviso può portare alla crisi.
Negli ultimi anni la situazione che abbiamo appena descritto, dove “liberali” e “siloviki” si scontravano su questioni amministrative di second’ordine con alterne vicende, era generalmente stabile. Il livello del conflitto è andato progressivamente aumentando, per ragioni esterne (crisi ucraina), e per il fatto che la mangiatoia in comune fra le due fazioni diventava sempre più piccola. Faccio notare che il consenso creatosi negli anni ’90 con le privatizzazioni e la distruzione del sistema sovietico (compreso l’apparato giudiziario e militare) riguardava solo i “liberali”. I “siloviki”, comunque, si adattarono perfettamente al sistema e ne divennero sostenitori. Al giorno d’oggi, il compito della modernizzazione che è di fronte alla società (e forse anche a Putin), non è molto diverso da quello che ebbero Ivan il Terribile, Pietro I o Stalin.
I problemi ucraini dell’anno scorso hanno aggravato di molto queste contraddizioni rendendo la situazione molto diversa dal pigro trantran degli ultimi anni (questo è il motivo per cui non faccio più previsioni sulla Russia). Oggi ci sono però alcuni scenari che vale la pena prendere in considerazione.
Per prima cosa, gli avvenimenti ucraini hanno avuto un grosso impatto sulla posizione politica dei “siloviki”. Prima di questi eventi essi non avevano un atteggiamento univoco nei confronti di ciò che riguardava il mondo esterno, appoggiavano generalmente la posizione dei “liberali” e l’unico motivo di disaccordo era su quali basi negoziare con l’elite del progetto occidentalista. Ora vediamo invece come si siano formati alcuni partiti nettamente distinti fra loro e questo fa si che si possa costruire un sistema di governo basato su accordi ed alleanze alternativo al classico schema dei “siloviki” e “liberali”, bilanciati dai “regionali”. All’interno delle forze di sicurezza possiamo ormai distinguere i patrioti-monarchici, più confusamente i “nuovi liberali” e finalmente, emergente, c’è il partito della Rinascita Socialista. Quest’ultimo ha un’organizzazione ancora allo stato embrionale, ma in confronto al Partito Monarchico, che vorrebbe seriamente la restaurazione della monarchia (ed anche il ritorno dei Romanov), Rinascita Socialista, se non altro come tendenza, non può che aumentare la propria influenza.
Come succede spesso, il consolidamento interno di questi partiti politici è dovuto a fattori esterni. I “patrioti-monarchici” sono guidati dalla vecchia elite dell’Europa Occidentale, che sta chiaramente cercando di vendicarsi delle sconfitte subite nella Prima e Seconda Guerra Mondiale sabotando il progetto occidentalista. In qualche posto hanno anche avuto successo politico (Ungheria), e se guardiamo alla politica di quest’ultima nazione, vediamo distintamente chi sono i loro alleati strategici. Allo stesso tempo i “patrioti-monarchici” vorrebbero applicare in Russia un modello economico strettamente autarchico e non sempre vedono di buon occhio un’integrazione forte con nazioni non-slave. Su questo aspetto giocano un ruolo importante i Nazionalisti Russi, ruolo che cambia a seconda di chi viene visto come partner nell’Europa Occidentale.
I “nuovi liberali”, che sono nettamente più numerosi dei “patrioti”, hanno come interlocutori principali proprio quei Rothschild di cui parlavamo prima. La loro politica è per la completa integrazione euroasiatica, una completa integrazione monetaria, un sistema interno di divisione del lavoro con almeno 500 milioni di consumatori e la creazione di un’area valutaria basata sul rublo, tutto questo lavorando gomito a gomito con i leader delle altre zone valutarie, inclusi gli “isolazionisti” americani che potrebbero prendere il potere negli Stati Uniti con le elezioni del 2016. Faccio notare che sia il primo che il secondo gruppo si oppongono allo scenario globale della “città sulla collina” voluto dagli occidentalisti.
Fra questi guppi ci sono anche importanti differenze. Il primo sostiene la religione ortodossa, limita (ma non blocca!) l’interazione euroasiatica con la nazioni non completamente slave, e ostacola, fino a un certo punto, sia il coordinamento con gli attuali leader del progetto occidentalista che il riavvicinamento con la Cina. Il secondo gruppo è molto più pragmatico, coopera attivamente con l’elite del progetto occidentalista e anche con la Cina (al momento con grande profitto). Essi non “amano” la Chiesa Ortodossa Russa, ritenendola troppo rigida e conservatrice, ma ne riconoscono tuttavia la funzione di consolidamento (della società). Enfatizzano il ruolo delle nazioni non-slave (Turchia, Asia centrale) all’interno dell’integrazione euroasiatica e prendono in seria considerazione l’idea di lavorare con un certo numero di stati arabi.
Per entrambi questi gruppi c’è però un problema critico che, nel prossimo futuro, una volta definito il loro programma politico, potrebbe diventare fondamentale. Essi propongono un modello di società decisamente diverso da quello formatosi in Russia negli anni ’90. La gente non approva questo approccio e questo spiega gli indici di gradimento stratosferici di Stalin e Putin (che incarnano l’idea del potere sottomesso al volere del popolo). Con Putin, inoltre, gli Occidentali hanno preso tutta una serie di abbagli, hanno basato tutto sul dualismo Khodorkovsky & Navalny “i padri della democrazia russa” contro Putin “il boia sanguinario”. Risultato? Il 90% della popolazione appoggia Putin con tutto il cuore.
Inoltre i problemi economici non sono ristretti alla sola Russia, ma sono presenti anche in altre nazioni della zona euroasiatica. Ci vogliono nuovi slogan che facciano dimenticare la competizione economica insita nei processi di integrazione e ritengo che l’elemento chiave potrebbe essere l’idea del socialismo. Inoltre, con l’abbassamento del tenore di vita, è inevitabile che queste idee abbiano sempre più diffusione. A tutt’oggi non c’è ancora virtualmente nessun gruppo politico capace di articolare un simile programma.
Tutto quello che ci rimane da fare ora è completare la descrizione generale di quei gruppi che interagiranno fra loro nel 2015. Ritengo che il consolidamento di questi gruppi sarà il fattore principale che determinerà la situazione dello Stato nell’anno che viene. Qui tratterò alcuni dei punti più importanti.
Prima di tutto Putin non dovrà esautorare il governo “liberale” e il gruppo di controllo della Banca Centrale fino a quando le divisioni all’interno dei “siloviki” non si concretizzeranno nella formazione di partiti distinti fra loro. Il primo di essi si è già concretizzato e, se il Ministero della Difesa verrà ancora rafforzato, diventerà il punto di riferimento per tutti quei gruppi che includono esponenti delle altre forze di sicurezza. Il secondo partito dovrebbe concretizzarsi solo come progetto politico, la sua forza elettorale dovrebbe essere quella di un’aspra critica delle privatizzazioni e della corruzione delle politiche liberali. Dovrebbero cercare la cooperazione con i noti “Rotschild” e gli isolazionisti americani. Ci sono poi fondate speranze che i loro sforzi potrebbero essere ricompensati da questi gruppi dell’elite mondiale, il che, tra le altre cose, sarebbe la base per la rimozione delle sanzioni verso la Russia.
Lasciatemelo ripetere: io credo che la necessità di rimuovere i “liberali” dal governo si presenterà solo dopo che il partito dei “nuovi liberali” sarà formato e disponibile a presentare alla nazione il suo programma economico.
Per quanto riguarda il progetto socialista, esso deve essere presentato alla nazione da Putin in persona. Credo che abbandonare la tradizione bizantina di “alleanza” fra il Capo dello Stato e la gente comune sarebbe stupido, perchè storicamente nessun’altra tradizione ha mai avuto successo. In effetti i “decreti di maggio” si muovevano in quella direzione, anche se, dopo aver fatto il primo passo, Putin non ha mai fatto il secondo. Questo tipo di politica gli permette comunque di avere un vero sostegno popolare, non solo nei sondaggi, ma anche nell’applicazione dei programmi di sviluppo. Le elites regionali sosterranno questo tipo di orientamento, anche se in modo limitato. Ma la cosa veramente importante è che solo questa politica consentirà alla Russia di accrescere la propria autorità nel mondo, Paesi arabi compresi. Faccio notare che questo aumento della credibilità della Russia e personalmente anche di Putin (che i nostri media controllati salutano con gioia) viene visto come lo spettro rinato dell’URSS, in alternativa al progetto di globalizzazione “Occidentale”.
Come ho scritto prima, il progetto “Occidentale”, a tutt’oggi non ha un programma progressista, ma è anche vero che non esiste un programma progressista nella nostra nazione e senza un tale programma l’alternativa è una banale lotta per le risorse disponibili, lotta in cui non abbiamo virtualmente nessuna speranza di successo. Ma se venisse fatto un discorso di politica progressista e valori sociali allora le cose potrebbero cambiare. Il ruolo delle risorse perderebbe importanza rapidamente…. e in questo caso noi avremmo una possibilità non solo reale, ma molto reale (di successo).
Finirò qui. Questa previsione si è rivelata abbastanza generica; credo che il punto chiave sia l’emergere del partito dei “nuovi liberali”, seguito poi dall’eliminazione del partito “liberale” in Russia. Non so quando questo accadrà, non sono neanche sicuro che succederà quest’anno. Finchè i “liberali” saranno al potere la crisi continuerà, così come le sanzioni contro di noi. Inoltre non è chiaro quando Putin comincerà a teorizzare una forma di governo socialista (almeno in parte). Mi sembra che se non lo farà, il consenso, molto fragile, di cui attualmente gode si consumerà rapidamente, e la cosa potrebbe costringerlo alle dimissioni. In questo caso, e non occorre essere indovini per predirlo, la situazione diventerà in breve potenzialmente incontrollabile.
Mi scuso poi con tutti quelli che avrebbero voluto dati precisi sulla spesa, sul rublo e così via, ma il grado di incertezza è troppo elevato. Si può parlare solo dei processi collettivi di base, e sono questi che ho cercato di descrivere.
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Articolo apparso originariamente su worldcrisis.ru il 10/03/2015
Traduzione in italiano a cura di Mario per Sakeritalia.it
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