Per alcuni la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia è ancora, cento anni dopo, il singolo evento emancipatore più importante della storia umana.
Per queste persone essa ha un’importanza maggiore rispetto alla Riforma Protestante o alle rivoluzioni americana e francese che l’hanno preceduta, in quanto è andata oltre l’emancipazione religiosa o politica, e ha generato emancipazione sociale; e con essa la fine dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo che descrive la condizione umana modellata dal capitalismo.
Secondo i suoi detrattori, invece, la Rivoluzione d’Ottobre ha inaugurato una periodo buio di tirannia comunista durante il quale, come avrebbe detto Marx, tutto ciò che era santo fu profanato e tutto ciò che era solido sublimò nell’aria. Secondo questa interpretazione, la Rivoluzione d’Ottobre è considerata, insieme al fascismo, parte di un impulso contro-illuministico, che precorse una nuova era oscura.
Tuttavia, il tentativo di mettere il comunismo e il fascismo nella stessa categoria è superficiale all’estremo; è una rappresentazione che non supera il test della storia. La relazione vera e storicamente accurata tra queste due ideologie storico-mondiali è che mentre il fascismo fu responsabile dell’avvio dell’Olocausto, fu il comunismo, nella forma dell’Armata Rossa sovietica, che vi pose fine.
Che la Russia del 1917 fosse il paese meno propizio di tutti in Europa [in inglese] per la trasformazione socialista e comunista è indiscutibile. Il punto di partenza del comunismo, afferma Marx nelle sue opere, è il punto in cui le forze produttive della società si sono sviluppate e sono maturate fino al punto in cui la forma esistente dei rapporti di proprietà agisce come un freno al loro sviluppo continuo. In quel momento lo sviluppo sociale e culturale del proletariato ha fatto nascere in esso una crescente consapevolezza della sua posizione all’interno del sistema di produzione esistente; effettuando pertanto la sua metamorfosi da una classe “in sé” a una classe “per se stessa” e, con essa, il suo ruolo di agente della rivoluzione sociale e della trasformazione.
Marx scrive:
“Nessun ordine sociale perisce mai prima che tutte le forze produttive per cui ci sia spazio in esso si siano sviluppate; e nuove e più alte relazioni di produzione non appaiono mai prima che le condizioni materiali della loro esistenza siano maturate nel grembo della vecchia società stessa”.
L’errore nell’analisi di Marx sta nel fatto che, piuttosto che emergere nelle economie capitaliste avanzate dell’Europa occidentale, il comunismo emerse alla periferia dei centri capitalisti – in Russia, in Cina, a Cuba e altrove – in condizioni non di sviluppo o di abbondanza, ma di sottosviluppo e povertà.

Il filosofo ed economista tedesco Karl Marx. Fine anni ’70 dell’800. Riproduzione
Dal suo punto di vista privilegiato dell’esilio in Svizzera, Lenin vide con una certa chiarezza come la Prima Guerra Mondiale offrì ai rivoluzionari di tutta Europa una scelta chiara. Potevano soccombere allo sciovinismo nazionale, mettersi in fila dietro le rispettive classi dirigenti e sostenere gli sforzi bellici dei loro rispettivi paesi, oppure potevano utilizzare quest’opportunità per agitare i lavoratori dei suddetti paesi per trasformare la guerra in una guerra civile per la causa della rivoluzione mondiale.
Fu una scelta che separò il grano rivoluzionario dalla pula, e portò al crollo della Seconda Internazionale, visto che, con poche eccezioni, gli ex giganti dell’internazionale marxista e del movimento rivoluzionario socialista si arresero al patriottismo e alla febbre della guerra.
Lenin osservò:
“Venne la guerra, la crisi era lì. Anziché tattiche rivoluzionarie, la maggior parte dei partiti socialdemocratici [marxisti] avviò tattiche reazionarie, passarono dalla parte dei rispettivi governi e borghesi. Questo tradimento del socialismo significò il collasso della Seconda Internazionale (1889-1914), e noi dobbiamo capire cosa ha causato questo crollo, cosa ha fatto nascere il social-sciovinismo e gli ha dato forza”.
Il caos, la carneficina e la distruzione che seguirono a quattro anni di conflitto senza precedenti portarono il cosiddetto mondo civilizzato sull’orlo della rovina. Le classi dominanti del continente europeo avevano scatenato un’orgia di sangue non per la causa della democrazia o della libertà, come affermavano stupidamente le potenze dell’Intesa, ma per dividersi le colonie in Africa e in altre zone del mondo non sviluppato.

Vladimir Lenin
A sinistra, o almeno in una parte importante della sinistra internazionale, l’analisi della Rivoluzione d’Ottobre e delle sue conseguenze va di pari passo con la deificazione dei suoi due attori principali – Lenin e Trotsky – e la demonizzazione di Stalin; comunemente raffigurato come un attore periferico che ha dirottato la rivoluzione alla morte di Lenin, dopo la quale si è imbarcato in un processo controrivoluzionario per distruggere quello che aveva ottenuto e i suoi obiettivi.
Nel secondo volume della sua magistrale biografia in tre parti di Lev Trotsky , Il Profeta Disarmato, Isaac Deutscher descrive come i bolscevichi sapessero che “permettere ai loro avversari di esprimersi liberamente e appellarsi all’elettorato sovietico avrebbe solo costituito un gravissimo pericolo per loro stessi e la rivoluzione: un’opposizione organizzata avrebbe potuto usare a suo vantaggio il caos e il malcontento più facilmente, perché i bolscevichi non erano in grado di mobilitare le energie della classe operaia. Si rifiutarono di esporre se stessi e la rivoluzione a questo pericolo”.
La dura realtà è che il livello culturale del piccolo e nascente proletariato del paese, le cui quadre più avanzate erano destinate a perire nella Guerra Civile, era troppo basso perché potesse assumere il ruolo di commando nell’organizzazione e nel governo del paese che Lenin aveva sperato e previsto per esso. “Il nostro apparato statale è così deplorevole”, fu costretto ad ammettere, “per non dire miserabile, che dobbiamo prima pensare con molta attenzione a come combattere i suoi difetti, tenendo presente che questi difetti sono radicati nel passato, che, anche se rovesciato, non è stato ancora superato, non ha ancora raggiunto lo stadio di una cultura, che è regredita al lontano passato”.
La vittoria di Stalin nella lotta per il potere all’interno della leadership a seguito della morte di Lenin nel 1924 fu, se si vuole credere alla saggezza convenzionale, dovuta alla sua sovversione e usurpazione machiavellica non solo degli organi collettivi del partito, ma degli ideali e degli obiettivi della rivoluzione stessa. Tuttavia, questo dà un’interpretazione riduttiva degli eventi sismici, sia all’interno che all’esterno della Russia, che erano in corso a questo punto.
Malgrado la determinazione di Trotsky nel continuare a credere nelle proprietà catalizzatrici della Rivoluzione d’Ottobre per quanto riguardava la rivoluzione europea e mondiale – cosa che condivideva con Lenin – nel 1924 era chiaro che la prospettiva dello scoppio di una simile rivoluzione nelle economie europee avanzate era finita, e che il socialismo in Russia doveva essere costruito, secondo Bukharin, “sul materiale esistente”.
La fede di Trotsky e Lenin nel proletariato europeo si rivelò mal riposta, mentre lo scetticismo di Stalin a questo proposito si rivelò giustificato. Tornando a Isaac Deutscher:
“Dopo quattro anni di leadership di Lenin e di Trockij, il Politburo non riusciva a guardare alle prospettive di una rivoluzione mondiale senza scetticismo… Stalin non era soddisfatto delle ampie prospettive storiche, che sembravano non dare risposta a brucianti questioni storiche… scetticismo estremo sulla rivoluzione mondiale e fiducia nella realtà di una lunga tregua tra la Russia e il mondo capitalista erano le premesse gemelle del suo socialismo [di Stalin] in un solo paese”.
I piani quinquennali introdotti da Stalin, a partire dal 1928, furono intrapresi in condizioni di assoluta necessità in risposta alle nubi di guerra che si radunavano in Occidente: “Siamo cinquanta o cento anni indietro rispetto ai paesi avanzati”, dichiarò Stalin nel 1931 “Dobbiamo colmare questo ritardo in dieci anni. O lo facciamo o ci schiacceranno”.
Quando si arriva a coloro che citano il costo umano della Rivoluzione d’Ottobre e le sue conseguenze come prova della sua pura malvagità, nessuno studioso serio della storia del colonialismo e dell’imperialismo occidentale può affermare l’equivalenza di questi eventi quando li si pesa sulla bilancia della sofferenza umana. Qui Alain Badiou ci ricorda che “gli enormi genocidi e massacri coloniali, i milioni di morti nelle guerre civili e mondiali attraverso le quali il nostro Occidente ha forgiato la sua forza, dovrebbero bastare a screditare, anche agli occhi di “filosofi” che esaltano la loro moralità , i regimi parlamentari d’Europa e d’America”.
In definitiva, nessuna rivoluzione o processo rivoluzionario raggiunge mai gli ideali e la visione propugnati dai suoi aderenti iniziali. Le rivoluzioni avanzano e si ritirano sotto il peso delle realtà interne ed esterne e delle contraddizioni, fino all’arrivo ad uno stato di equilibrio conforme alle limitazioni imposte dai particolari vincoli culturali ed economici dello spazio e del tempo in cui avvengono.
Anche se Martin Lutero ha difeso la soppressione della Rivolta dei Contadini guidata da Thomas Müntzer, chi può dire che Lutero non merita un posto fra i grandi emancipatori della storia? Allo stesso modo, anche se la Rivoluzione Francese non si è conclusa con libertà, uguaglianza e fraternità, ma con Napoleone, chi può dire che a Waterloo la Grande Armee del generale corso non stesse lottando per la causa del progresso umano contro il peso morto dell’autocrazia e dell’aristocrazia rappresentate da Wellington? In modo simile, il socialismo in un solo paese di Stalin e i conseguenti piani quinquennali permisero all’Unione Sovietica di distruggere il mostro del fascismo negli anni ‘40.
Ecco perché, in ultima analisi, il metro fondamentale della Rivoluzione d’Ottobre 1917 è la Battaglia di Stalingrado [in inglese] nel 1942. E per questo, sia che ci si preoccupi di riconoscere o meno questo fatto, il mondo le sarà per sempre in debito.
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Articolo di John Wight pubblicato il 26 ottobre 2017 su Sputnik International.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
Ottimo articolo, essenziale nei contenuti e agile nella forma, senza concessioni alla retorica degli storici occidentali sempre vigili nel loro ruolo di Censori sul Limes della doppia morale .
Il socialismo di Marx non poteva affermarsi perché la realtà ,storicamente determinata ,nel continente russo ,e la cultura politica delle classi dirigenti russe lavorarono per realizzare un’opera politica che gli occidentali non potevano comprendere né realizzare.
Stalin,con tutti i limiti del personaggio, ha portato a termine l’impresa che i più colti e preparati rivoluzionari del Partito non erano e non sono stati in grado compiere e di essere inflessibili con i nemici interni ed esterni ,
infine la rivoluzione russa consente l’affermarsi delle classi sociali basse che in Italia il Verga appella “i Vinti”.
Dunque ed infine ,Non bastava Stalin per vincere ci voleva un popolo eccezionale che lo sostenne e che in Occidente non è mai esistito.
L’autore dell’articolo giustifica le atrocità staliniane con quelle occidentali: questa visione della storia è semplicemente ridicola, con questi ragionamenti giustifichiamo tutti i crimini contro l’umanità contrapponendoli l’un l’altro. Un crimine lo è per se stesso, indipendentemente da chi lo commette.