Washington insiste che le sanzioni rimarranno fino a quando la Russia non restituirà la penisola all’Ucraina, ma questo non accadrà mai. Per Mosca, la Crimea è tornata al suo posto, e questa è una regione che ha visto i conquistatori andare e venire per secoli.
Siamo nei resti di Panticapaeum, la capitale del Regno del Bosforo Cimmerio, fondata nel secondo quarto del VI secolo a.C. su entrambe le sponde dello Stretto di Kerč’.
Iniziamo la nostra passeggiata sul Monte Mitridate, nel cuore della moderna Kerč’, dove fu ucciso il “terribile” Re Mitridate VI del Ponto (134 – 64 a.C.). Il geografo greco Strabone (63 a.C. – 23 d.C.) disse che Panticapaeum era la patria di “tutte le città milesi del Bosforo”. Era una grande città che vantava un porto comodo e un cantiere navale.
Mentre saliamo più in alto, incontriamo un obelisco che celebra la vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Questa è una delle ultime creste della Crimea orientale. A sinistra c’è il porto di Kerč’, senza navi da guerra, solo le motovedette della Guardia Costiera. A destra, il Mar d’Azov blu scuro, lo Stretto di Kerč’ – ora uno dei punti caldi geopolitici del XXI secolo – e in lontananza c’è il Krimskij Most, il Ponte di Crimea.
Attraversare il ponte – una meraviglia ingegneristica lunga 19 Km, costruita in soli due anni – è facilissimo e impiega meno di 15 minuti. Alla sua destra destra, il lavoro procede sul ponte ferroviario, che sarà pronto l’anno prossimo.

Il Ponte di Crimea. Foto di Asia Times.
Lo attraverso in direzione di Novorossijsk, quindi torno indietro. Ci sono controlli sui passaporti e doganali, anche se la Crimea è ora territorio russo. Auto e autobus vengono attentamente esaminati; un attacco terroristico è sempre una preoccupazione. Le guardie sono educate: “Benvenuto in Crimea”. Dico che ero già stato in Crimea. Loro sorridono.
Un ponte su acque movimentate
Washington insiste ufficialmente che tutte le sanzioni relative alla Crimea rimarranno fino a quando Mosca non restituirà la penisola all’Ucraina. Questo non accadrà mai. Per Mosca, la Crimea è già tornata al suo posto. Dopotutto, Nikita Khrushchev, un sentimentale ucraino, aveva ceduto la Crimea all’Ucraina nel 1954 in un attacco di fratellanza proletaria, violando palesemente la Costituzione dell’URSS.
I neoconservatori americani e russofobi assortiti insistono sul fatto che Washington dovrebbe armare ulteriormente le forze terrestri, marittime e aeree di Kiev per contrastare “l’aggressione russa”, ma i crimeani considerano queste affermazioni una pessima barzelletta.
Tutti sanno che il presidente ucraino Petro Poroshenko ha bisogno di un diversivo dal suo governo triste e corrotto. Da qui l’illegale – secondo gli accordi di Minsk – bombardamento di città nel Donbass e il recente “incidente” di Kerč’ [in inglese].
Il gradimento di Poroshenko ruota intorno ad un misero 8%. Ha usato l’incidente di Kerč’ per dichiarare la Legge Marziale. Ne voleva tre mesi, ma i legislatori di Kiev gliene ha dato solo uno. È destinato a perdere le prossime elezioni. Nel frattempo, oltre due milioni di ucraini hanno già votato con i loro piedi, e hanno cercato rifugio in Russia. Poroshenko non può permettersi di lanciare una guerra su larga scala al Donbass senza armi, fondi e scarso supporto dall’UE.
Per quattro anni Poroshenko ha usato uno tsunami di propaganda per manipolare l’estrema destra ucraina, che ha sempre aborrito russi, polacchi ed Ebrei, per dirigere il suo cieco odio verso i russi, la più grande minoranza del paese. Ma non è stato sufficiente per “risolvere” una miriade di problemi di uno stato di fatto fallito.
Dopo che Washington ha distrutto ogni possibile distensione con Mosca, la posizione del Presidente Putin rimane molto chiara, come espresso durante il 15° anniversario del Club di Discussione Internazionale Valdai [in inglese] a Soci lo scorso ottobre:
“La Crimea è terra nostra. Non ce ne andremo. Perché è terra nostra? Non perché siamo andati là e l’abbiamo presa… La gente in Crimea ha partecipato ad un referendum e ha votato per l’indipendenza prima, e poi per far parte della Russia. Permettetemi di ricordarvi per la centesima volta che non c’è stato un referendum in Kosovo, solo il parlamento ha votato per l’indipendenza, tutto qui. Tutti quelli che volevano sostenere e distruggere l’ex Jugoslavia dissero: bene, grazie a Dio, ci va bene. Sulla Crimea, tuttavia, non sono d’accordo. Ok, allora discutiamo, esaminiamo i documenti delle Nazioni Unite, vediamo a cosa si riferisce la Carta delle Nazioni Unite e dove si parla del diritto delle nazioni all’autodeterminazione. Questa sarà una discussione senza fine. Tuttavia, noi procediamo in base alla volontà espressa dalle persone che vivono in quel territorio”.
Viaggiando da Sinferopoli a Kerč’ passando per Sebastopoli, tutti quelli con cui ho parlato hanno confermato di aver votato per tornare con la Russia, senza rimpianti.
Per i crimeani, che amano la Russia, e per i russi nel loro insieme, la Crimea che torna con la Patria è una sicurezza geopolitica e nazionale, e un fatto compiuto che crea orgoglio nazionale. Aiuta anche il fatto che la Russia abbia fatto di più per la Crimea in quattro anni rispetto all’Ucraina in sei decenni.
Un aeroporto con le onde
La mia prima impressione, arrivando al nuovissimo Aeroporto Internazionale di Sinferopoli, con il suo design elegante che vede 146 onde, è che qualsiasi città di medie dimensioni in tutto l’Occidente avrebbe ucciso per averne uno simile.
Marina Borodina, molto ben istruitasi all’Università della Crimea, e produttrice di Rossiya Segodnya, mi fa visitare la capitale, che prospera grazie ad un boom immobiliare, compresa la zona intorno all’aeroporto. La Crimea è sotto sanzioni, ma le imprese si adeguano. Niente Visa o Mastercard? Tutti usano il sistema di pagamento Mir o i rubli. Gli smartphone con SIM di provider russi sono adatti solo per le chiamate locali. Quindi, non esiste una rete 4G e nessun roaming internazionale.
C’è anche un boom dell’edilizia stradale. La strada costiera da Sebastopoli a Kerč’ è in fase di ristrutturazione, ma il gioiello della corona è l’autostrada Taurida da est a ovest, lunga 240 km, da completare l’anno prossimo, collegandosi al Ponte di Crimea.
Sebastopoli – da dove il Cristianesimo, secondo un complesso miscuglio di leggende e fatti, è entrato in Russia – è stata costruita interamente dalla Russia lungo bellissime insenature blu sempre affollate di navi. È indelebile nella psiche nazionale russa, soprattutto a causa della sua vivace difesa di due anni durante la Guerra di Crimea, oltre al respingimento dell’assedio di 10 mesi dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il delizioso Hotel Sevastopol vecchio stile regna ancora sovrano, con l’attigua brasserie francese e i deboli echi della Parigi del 19° secolo che influenzarono l’epoca zarista.
Gli ufficiali militari che sfilano con le loro famiglie sulla famosa passeggiata impreziosita da decorazioni natalizie non credono nella possibilità di ulteriori scontri nel Mar d’Azov. Esso e il Mar Nero sono di fatto “laghi russi”.
Quando i tartari mongoli dell’Orda d’Oro arrivarono per la prima volta in Crimea, videro una torre e la chiamarono Kerim (“forte”), da cui Crimea. Poi i tartari si trasferirono nell’entroterra, a Bakhchisaray, dove costruirono il grazioso palazzo del khanato indipendente in una valle verde protetta da colline di pietra. Quello fu l’apice del Khanato di Crimea tartaro; Krym Tartary.
Ho avuto il tempo di esplorare una Bakhchisaray praticamente deserta fino a quando una sposa e uno sposo che festeggiavano il loro matrimonio tartaro non sono arrivati a posare per le foto obbligatorie, scortati da una flotta di Mercedes nere che sfoggiavano la bandiera tartara azzurra con il suo sigillo giallo. Erano benestanti, e hanno parlato di buone opportunità commerciali, dicendo che non c’erano problemi con l’amministrazione russa. Ci sono circa 300.000 tartari in Crimea su una popolazione di 2 milioni.
I “civilizzati” e i “barbari”
Al museo di Kerč’, ad un tiro di schioppo dal Monte Mitridate, ho avuto il privilegio di entrare in contatto con una delle custodi, Anna Naumenko – anch’essa eccellentemente istruita all’Università della Crimea – per un’emozionante cavalcata storica. Il museo ha una piccola collezione di preziosi manufatti greci e bizantini anche se la maggior parte dei tesori archeologici sono all’Ermitage di San Pietroburgo.
La Crimea fu il luogo di un incontro storico rivoluzionario. Immaginate i coloni greci, essenzialmente urbani, che avevano raggiunto la Crimea dopo aver navigato per almeno un mese dal Bosforo alla Russia meridionale, trovarsi faccia a faccia con i nomadi dell’Asia centrale che avevano attraversato un mare di erba; gli sciti – una confederazione di lingua indo-iraniana che stavano già facendo sfoggio delle loro abilità nomadi intorno alle steppe della Crimea quando i greci arrivarono nell’VIII secolo a.C.
Poi arrivarono i sarmati, i goti, gli unni, i cazari – pastori nomadi di lingua turca dall’Asia centrale – i cumani (altri nomadi di lingua turca), i mongoli-tartari dell’Orda d’Oro, prima di Bisanzio e dell’Impero Ottomano. I tartari di Crimea si convertirono all’Islam nel 14° secolo. Il Khanato andò avanti fino a quando Caterina la Grande non conquistò la Crimea nel 1783.
Ciò dimostra come la Crimea sia sempre stata un crocevia senza precedenti dove la “civiltà” si intrecciava con ciò che i greci ateniesi descrivevano come “barbarie”. Gli scontri hanno da sempre permeato l’auto-percezione occidentale della superiorità in relazione a un Altro percepito come inferiore, solitamente nomade.
La leggendaria Orda d’Oro – in realtà il braccio occidentale dell’impero tartaro-mongolo – controllò le steppe a nord del Mar Nero e la Crimea dalla metà del XIII secolo fino almeno alla metà del XV secolo.
Questo è cruciale perché in realtà fu la prima unificatrice dell’Eurasia, garantendo la stabilità attraverso le steppe dalla Cina all’Ungheria. E questo ha portato alla connettività commerciale; le antiche vie della seta, che si estendono dalla Cina fino al Mar Nero, per poi navigare verso il Mediterraneo. Questo è impregnato nella memoria collettiva di tutti i popoli eurasiatici.
Bisanzio fu ciò che lo studioso russo Michail Rostovcev, nel suo favoloso libro Iraniani e Greci nel Sud della Russia, descrisse come una civiltà mista “molto interessante”. Così erano il Mar Nero e la Crimea.
L’antica Via della Seta portava seta, spezie, porcellana, bronzo e oro dalla Cina, dalla Persia e dall’India, mentre i greci esportavano vino, ceramiche, gioielli e ornamenti fatti prima in Grecia e poi nel Regno del Bosforo Cimmerio a Kerč’.
Pace nelle steppe voleva dire libero passaggio tra il Mar Nero e il Mediterraneo. I tartari mongoli arrivarono nel Mar Nero quando l’Impero bizantino era quasi morto. Dietro le armate terrestri dei crociati c’erano i centri di potere di Venezia e Genova, desiderose di migliorare la connettività commerciale con i mercati del Mar Nero.
Dopo che i crociati presero d’assalto Costantinopoli nel 1204, scivolarono oltre il Bosforo per raggiungere finalmente la Crimea. Per un po’ i mercanti di Tana, un’importante colonia veneziana nel Mar d’Azov, furono in grado di monopolizzare a favore di Venezia praticamente tutti i commerci con la Cina.
Gli europei non potevano fare a meno di vedere un’apertura. Sudak, nel sudest della Crimea, fu una colonia greca, bizantina e poi genovese. Eppure, come sappiamo, tutto questo finì quando i turchi conquistarono Costantinopoli nel 1453 – e non vi fu più un Impero bizantino intorno al Mar Nero.
Imperi che cadono
I nazisti avevano progetti per la Crimea. Due mesi prima che la Germania invadesse l’Unione Sovietica, fu deciso che la Crimea sarebbe stata separata dalla Russia e consegnata a un’Ucraina stato fantoccio; quello era il progetto Gotland.
La maggior parte dei collaborazionisti nazisti in Crimea durante la Seconda Guerra Mondiale non era tartara. Tuttavia, sotto Stalin, i tartari furono la prima minoranza etnica ad essere interamente deportata. Quando il potere sovietico tornò in Crimea, quelli che rimasero furono espulsi in massa in Asia centrale con l’accusa di “tradimento della Patria”. Ora i loro figli e nipoti stanno tornando a frotte.
Quando l’Unione Sovietica si sciolse, l’impero russo zarista del XIX secolo, oltre alla Novorossija del XVIII secolo di Caterina la Grande, oltre la costa settentrionale del Mar Nero, si dissolse.
Attraversando parti della steppa della Crimea, è facile ricordare Chekhov, cresciuto a Taganrog, sul Mare d’Azov, che amato il profumo delle erbe nella steppa estiva.
È anche un terreno adatto per riflettere sul collasso degli imperi. La spinta russa per raggiungere le calde acque del Mediterraneo si è sempre scontrata con la spinta turca per resistere alle conquiste Ottomane attorno al Mar Nero. Questa storia riecheggiò attraverso la Guerra di Crimea negli anni ‘50 dell’800, e anche durante la Prima Guerra Mondiale, con la Turchia alleata con la Germania e l’Austria-Ungheria, e la Russia che invase l’Anatolia. Eppure, anche prima che la Prima Guerra Mondiale fosse finita, gli imperi zarista e Ottomano erano spariti.
Ora la Crimea è tornata in Russia, praticamente per sempre, un’unione siglata dal Ponte di Crimea. È una realtà che fa riflettere, visibile dalle rovine di Panticapaeum.
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su Information Clearing House il 17 dicembre 2018
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[le note in questo formato sono del traduttore]
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