“Se dovessimo utilizzare gli strumenti tradizionali con cui valutiamo i leader, tra cui la difesa dei confini e la prosperità del paese, Putin potrebbe essere considerato il più grande statista dei nostri tempi. Sul piano mondiale, chi potrebbe gareggiare con lui?”
Questa è la domanda che si pone Chris Caldwell del Weekly Sandard in un interessante saggio pubblicato a marzo su Imprimis [in inglese], la rivista dell’ Hillsdale College.
Che cosa pone Putin al di sopra di tutti i leader del 21°secolo?
“Quando Putin ha preso il potere nell’inverno 1999-2000, il suo paese era senza difese ed era in bancarotta. Se lo erano spartito le nuove elite “cleptocratiche”, in collusione con gli antichi nemici imperiali, cioè gli Americani. Putin ha cambiato rotta.
Nella prima decade di questo secolo, lui ha fatto ciò che Kemal Ataturk fece in Turchia negli anni 20. Sulle rovine di un impero ha resuscitato uno stato nazionale, dandogli coesione e scopo. Ha punito i plutocrati del suo paese e ha ripristinato la forza militare. E ha rifiutato, anche con consistente retorica, il ruolo servile – disegnato da politici e uomini d’affari stranieri – in un sistema mondiale governato dagli Americani. I suoi elettori gli attribuiscono il merito di aver salvato la Russia.”
Il livello di gradimento di Putin dopo 17 anni al potere è ben superiore a quello di ciascun leader rivale in Occidente. Ma mentre la sua impressionante marcia verso una ritrovata grandezza della Russia spiega perché sia venerato dai suoi concittadini residenti in patria e all’estero, che cosa spiega l’appeal che Putin ha in Occidente, malgrado un’informazione tanto ostile quanto quella verso Trump?
Risposta: Putin si pone contro la visione occidentale di quello che dovrà essere il futuro dell’umanità. Anni fa si era allineato al tradizionalismo, al nazionalismo e al populismo occidentali, e contro ciò che essi disprezzavano nella loro civiltà decadente.
Ciò che detestavano, Putin detestava. Lui è un patriota russo stile “Dio e Patria”. Lui rifiuta il Nuovo Ordine Mondiale definito dagli Stati Uniti alla fine della Guerra Fredda. Putin mette la Russia prima di ogni cosa.
E nello sfidare gli Americani lui parla per quei milioni di Europei che desiderano ripristinare le proprie identità nazionali e riguadagnare la perduta sovranità causata dall’Unione Europea. Putin inoltre si oppone al progressivo relativismo morale di una elite occidentale che ha dimenticato le proprie radici cristiane a favore del secolarismo e dell’edonismo.
L’establishment americano odia Putin perché – dicono – è un aggressore, un tiranno, un assassino: lui ha invaso e occupato l’Ucraina, e i suoi vecchi compagni del KGB uccidono giornalisti, disertori e dissidenti.
Tuttavia, se è vero che nel periodo degli zar e dei commissari politici la politica era spesso uno sport sanguinoso, che cosa ha fatto di peggio Putin ai suoi nemici interni rispetto a ciò che il nostro alleato Generale Abdel-Fattah el-Sissi ha fatto ai Fratelli Musulmani rovesciati nel colpo di stato in Egitto?
Che cosa ha fatto di peggio Putin rispetto a ciò che ha fatto in Turchia il nostro alleato NATO il Presidente Erdogan, incarcerando 40.000 persone dopo l’insurrezione di luglio, o il nostro alleato filippino Rodrigo Duterte che ha firmato l’uccisione extragiudiziale di migliaia spacciatori di droga?
Qualcuno forse pensa che il Presidente Xi Jinping abbia gestito le dimostrazioni di massa contro il suo regime a piazza Tienanmen in una maniera più delicata di quanto abbia fatto Putin la scorsa settimana a Mosca?
Gran parte dell’ostilità verso Putin deriva dal fatto che lui sfida l’Occidente, quando, per difendere gli interessi della Russia, ha anche spesso successo rimanendo impunito e impenitente. E non solo: mantiene popolarità nel suo paese e in più ha ammiratori in nazioni il cui governo gli è implacabilmente ostile.
In un sondaggio effettuato a dicembre il 37% dei Repubblicani aveva una opinione positiva del leader russo ma solo il 17% l’aveva per il Presidente Barak Obama.
C’è un’altra ragione per cui Putin è visto favorevolmente: milioni di “etnonazionalisti” che desiderano vedere i propri paesi uscire dall’Unione Europea, lo considerano un alleato. Se Putin ha apertamente salutato con favore questi movimenti, l’elite americana non ha assunto nemmeno una posizione neutrale.
Putin ha compreso il nuovo secolo meglio dei suoi rivali. Mentre il 20° secolo ha visto il mondo dividersi tra un oriente comunista e un occidente libero e democratico, nuove e differenti sfide definiscono il secolo 21°.
Le nuove linee di demarcazione si pongono tra un conservatorismo sociale e un secolarismo indulgente con se stesso, tra tribalismo e trasnazionalismo, tra stato-nazione e Nuovo Ordine Mondiale.
Su queste nuove linee di demarcazione Putin si pone sul versante dei ribelli. Quelli che immaginano l’Europa delle Nazioni di de Gaulle al posto di Una Sola Europa (verso cui l’EU sta andando), vedono Putin come un alleato.
Si pone quindi la vecchia domanda: di chi è il futuro?
Nelle nuove sfide del nuovo secolo non è impossibile che la Russia stia sul lato del vincitore, così come l’America durante la Guerra Fredda. I partiti secessionisti di tutta Europa già guardano verso Mosca piuttosto che al di là dell’Atlantico.”
“Putin è diventato un simbolo di sovranità nazionale nella sua battaglia contro il globalismo” scrive Caldwell “battaglia che risulta essere la grande battaglia dei nostri tempi. Come dimostrano le nostre ultime elezioni, questo è vero anche qui”.
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Articolo di Patrick J. Buchanan pubblicato su Patrick J. Buchanan – Official Web Site il 30 marzo 2017
Traduzione in Italiano a cura di Elvia per SakerItalia.it
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