“E’ solo un’impressione che abbiamo una scelta”. Parole che colpiscono per la loro profondità e audacia. Pronunciate un decennio e mezzo fa, oggi sono dimenticate e non vengono mai citate. Ma, in accordo con le leggi della psicologia, ciò che abbiamo dimenticato ci influenza molto più di ciò che ricordiamo. E queste parole, andando ben oltre il contesto in cui furono dette, alla fine sono diventate il primo assioma del nuovo ordinamento statale russo, sul quale si basano tutte le teorie e le pratiche della politica attuale.L’illusione della possibilità di scelta è la più importante delle illusioni, il trucco principale del modo di vivere occidentale in generale e della democrazia occidentale in particolare, che da un po’ di tempo si riflette in idee da circo Barnum piuttosto che in quelle di Clìstene – uno dei padri della democrazia ateniese. Il rifiuto di tale illusione a favore del realismo della predeterminazione ha portato la nostra società dapprima a riflettere sulla nostra versione, sovrana e particolare, dello sviluppo democratico, e successivamente alla completa perdita di interesse per le discussioni su come dovrebbe essere la democrazia, e pure se in linea di principio questa ci debba essere.

Davanti a noi si sono aperti i percorsi della libera costruzione dello stato, guidati non da chimere importate, bensì dalla logica dei processi storici, dalla cosiddetta “arte del possibile”. La disintegrazione della Russia – impossibile innaturale e antistorica – è stata, sia pur tardivamente, fermata. Dopo essere collassata dal livello dell’URSS a quello di Federazione Russa, la Russia ha smesso di crollare, ha iniziato a ricostruirsi ed è tornata al suo stato naturale, l’unico possibile per una grande e crescente comunità multietnica. Il ruolo non modesto assegnato al nostro paese dalla storia mondiale non ci consente di lasciare il palcoscenico o di rimanere in silenzio tra le comparse, non ci permette un’esistenza tranquilla, e determina il difficile carattere del nostro ordinamento statale.

Quindi lo stato russo continua, e ora questo è un nuovo tipo di stato, quale non avevamo ancora sperimentato. Si è formato nel suo complesso verso la metà degli anni 2000, è ancora poco studiato, ma la sua originalità e vitalità sono evidenti. Le prove di stress, che ha superato e sta superando, dimostrano che questo è un modello di struttura politica che costituirà un mezzo efficace per la sopravvivenza e l’elevazione della nazione russa per i prossimi non solo anni, ma decenni, e probabilmente per tutto il prossimo secolo.

La storia russa conosce quattro principali modelli di stato, che possono essere convenzionalmente chiamati con i nomi dei loro creatori: lo stato di Ivan III (Granducato/Regno di Mosca e di tutta la Russia, XV – XVII secolo); lo stato di Pietro il Grande (Impero Russo, XVIII – XIX secolo); lo stato di Lenin (Unione Sovietica, XX secolo); lo stato di Putin (Federazione Russa, XXI secolo). Create dalla gente, per dirlo alla maniera del poeta Gumilev, dalla “volontà lunga”, queste grandi macchine politiche, che si sostituivano a vicenda, adattandosi man mano che avanzavano, secolo dopo secolo, consentivano al mondo russo un ostinato movimento ascendente.

La grande macchina politica di Putin comincia solo ora a ingranare, e si sta predisponendo per un lavoro lungo, difficile e interessante. Il suo funzionamento a pieno regime avverrà molto più avanti, tanto che tra molti anni la Russia sarà ancora lo stato di Putin, così come la Francia moderna continua a chiamarsi la Quinta Repubblica di De Gaulle, la Turchia (nonostante ora siano al potere gli antikemalisti) si basa ancora sull’ideologia delle Sei Frecce di Atatürk, e gli Stati Uniti si ispirano ancora ai valori dei semi-leggendari padri fondatori.

Bisogna comprendere, elaborare e descrivere il sistema di governo di Putin, e in generale dell’intero complesso di idee del putinismo come ideologia del futuro. Sì, proprio del futuro, considerando che il vero Putin non è affatto un putinista, proprio come, ad esempio, Marx non è un marxista e non è detto che avrebbe accettato di esserlo se avesse saputo di cosa si trattava. Bisogna farlo per tutti quelli che non sono Putin ma vorrebbero essere come lui, per la possibilità di trasmettere i suoi metodi e i suoi orientamenti nei prossimi tempi.

La descrizione non dovrebbe essere eseguita nello stile di una duplice propaganda, nostra e non nostra, ma in un linguaggio che i media ufficiali sia russi che anti-russi percepirebbero come moderatamente eretico. Un tale linguaggio può diventare accettabile per un pubblico abbastanza ampio, ed è ciò che ci vuole, perché il sistema politico creato in Russia è adatto non solo per un futuro in casa propria, ma possiede un significativo potenziale di esportazione, la domanda per esso o per le sue singole componenti esiste già, la sua esperienza viene studiata e in parte adottata e imitata in molti paesi, sia dal governo che dall’opposizione.

I politici stranieri attribuiscono alla Russia un’interferenza nelle elezioni e nei referendum in tutto il mondo. In realtà la faccenda è ancora più seria: la Russia interferisce coi loro cervelli, ed essi non sanno cosa fare con la propria coscienza alterata. Da quando, dopo i fallimentari anni ’90, il nostro paese, abbandonati i prestiti ideologici dall’estero, passò alla controffensiva mediatica verso l’Occidente, gli esperti europei e americani iniziarono a sbagliare sempre più spesso le loro previsioni. Sono sorpresi e infuriati per le preferenze paranormali dell’elettorato. Confusi, hanno annunciato l’avanzata del populismo. Si può dire anche così, quando non si riescono a trovare le parole giuste.

Intanto, l’interesse degli stranieri all’algoritmo politico russo è comprensibile: non c’è alcun profeta nelle loro patrie, e tutto ciò che oggi gli sta accadendo la Russia l’aveva già pronosticato.

Quando tutti erano ancora pazzi per la globalizzazione e rumoreggiavano su un mondo piatto e senza frontiere, Mosca ricordava chiaramente che la sovranità e gli interessi nazionali contano. Allora molti ci accusavano di un attaccamento “ingenuo” a queste cose del passato, da tempo fuori moda. Ci insegnavano a non fissarci su valori del diciannovesimo secolo, e che dovevamo entrare coraggiosamente nel ventunesimo, nel quale presumibilmente sarebbero scomparsi le nazioni e gli stati sovrani. Nel ventunesimo secolo, tuttavia, è andato tutto come previsto da noi. La brexit inglese, l’americano “#greatagain”, il muro anti-immigrazione in Europa sono solo le prime voci in un vasto elenco di manifestazioni di de-globalizzazione, ritorno alla sovranità e al nazionalismo.

Quando Internet veniva elogiato a ogni angolo come uno spazio inviolabile della libertà illimitata, dove tutti potevano fare di tutto ed erano apparentemente uguali, proprio la Russia pose una domanda che fece tornare alla realtà l’umanità abbindolata: “Chi siamo nella ragnatela [web ndr] mondiale – ragni o mosche?” Oggi tutti si sono precipitati a districare la rete, comprese le burocrazie più amanti della libertà, e ad accusare Facebook di favoreggiamento delle ingerenze straniere. Un tempo spazio virtuale libero, pubblicizzato come prototipo del futuro paradiso, ormai è occupato e spartito dalla cyber-polizia e dal cyber-crimine, dai cyber-eserciti e dalle cyber-spie, dai cyber-terroristi e dai cyber-moralisti.

Quando più nessuno contestava l’egemonia dell’egemone, il grande sogno americano di dominazione del mondo era quasi raggiunto, e a molti era sembrato di intravedere la fine della storia con la nota a margine “i popoli tacciono”, nel silenzio che ne seguì risuonò d’improvviso il discorso di Monaco, che allora sembrò quello di un dissidente, ma del quale oggi tutto ciò di cui parlava è dato per scontato: tutti, compresi gli stessi americani, sono insoddisfatti dell’America.

Non molto tempo fa, la poco nota locuzione del dizionario politico turco derin devlet è stata diffusa dai media americani, tradotta in inglese come Stato Profondo, e da lì è passata ai nostri media. Il termine significa una rete rigida e assolutamente non democratica di strutture di potere nascoste dietro le istituzioni democratiche esterne. E’ un meccanismo, in pratica, che agisce attraverso la violenza, la corruzione e la manipolazione, nascosto sotto la superficie della società civile, che a parole condanna (ipocritamente o ingenuamente) la violenza, la manipolazione e la corruzione.

Dopo aver scoperto uno sgradevole “Stato Profondo” all’interno, gli americani, tuttavia, non si sono particolarmente sorpresi, perché già sospettavano della sua esistenza. Se ci sono una deep net e una dark net, perché non dovrebbe esserci un deep state o anche un dark state? Dagli abissi e dalle tenebre di questo potere non pubblico e non pubblicizzato, emergono i luccicanti miraggi della democrazia fabbricati apposta per il popolo – l’illusione di poter scegliere, la sensazione di libertà, il sentimento di superiorità, ecc.

Il sospetto e l’invidia, utilizzate dalla democrazia come fonti primarie di energia sociale, portano necessariamente a un’ assolutizzazione delle critiche e a un aumento del livello di ansia. “Haters”, troll e bot maligni formano una maggioranza rumorosa, spodestando dalla posizione dominante la classe media, che una volta dava un tono completamente diverso al discorso pubblico.

Ora nessuno crede alle buone intenzioni dei politici pubblici, sono invidiati e quindi considerati viziosi, furbi o persino mascalzoni. Famose serie sull’ambiente dei politici, da “Boss” a “House of Cards“, danno immagini naturalistiche della torbida quotidianità dell’ establishment.

A un mascalzone non dovrebbe essere permesso di andare troppo lontano per il semplice motivo che è un mascalzone. E quando attorno ci sono (presumibilmente) solo mascalzoni, per contenerli bisogna usare altri mascalzoni. Chiodo scaccia chiodo, mascalzone scaccia mascalzone… C’è una vasta scelta di cialtroni, e regole farraginose progettate per ridurre la lotta tra di loro a un risultato più o meno paritario. Così funziona il sistema di pesi e contrappesi: l’equilibrio dinamico della bassezza, il bilanciamento dell’avidità, l’armonia dell’inganno. Se qualcuno va oltre il limite consentito e si comporta disarmonicamente, il vigile Stato Profondo si affretta a punirlo e con una mano invisibile trascina l’apostata sul fondo.

Non c’è nulla di terribile nell’immagine proposta dalla democrazia occidentale, basta cambiare leggermente l’angolo della visuale e sarà di nuovo accettabile. Ma l’amaro in bocca rimane, e un cittadino occidentale comincia a guardarsi intorno alla ricerca di altri modelli e modi di esistenza. E vede la Russia. Il nostro sistema, così come tutte le nostre cose, non sembra propriamente più elegante, ma almeno più onesto. E anche se non per tutti l’espressione “più onesto” è sinonimo di “migliore”, essa comunque non è priva di attrattiva.

Il nostro stato non è diviso in profondo ed esterno, tutte le sue parti e le sue manifestazioni sono ben visibili. Le costruzioni più brutali della sua struttura di potere corrono direttamente lungo la facciata, senza essere coperti da orpelli architettonici. La burocrazia, anche quando cerca di imbrogliare, lo fa con poca cura, come se supponesse che “tanto tutti capiscono tutto”.

L’alta tensione interna associata al tenere insieme enormi spazi eterogenei e la costante permanenza nella mischia della lotta geopolitica internazionale rendono importanti e decisive le funzioni poliziesche e militari dello stato. Come tradizione, queste funzioni non vengono mai nascoste, ma al contrario apertamente mostrate, dato che la Russia non è mai stata governata da mercanti (tranne brevi eccezioni – pochi mesi nel 1917 e qualche anno negli anni ’90) che considerano l’arte militare molto più bassa del commercio, e neanche dai liberali, la cui ideologia nega tutto ciò che viene anche lontanamente considerato poliziesco. Non c’era nessuno a drappeggiare la verità con delle illusioni, nascondendo il più possibile la funzione immanente di qualsiasi stato – essere uno strumento di difesa e di attacco.

In Russia non c’è uno Stato Profondo, essendo esso totalmente visibile, c’è però un popolo profondo.

Sulla superficie lucida (di questo stato) brilla l’élite, mentre la gente è coinvolta (con successo: dobbiamo riconoscerle il merito) in alcune attività, secolo dopo secolo: riunioni di partito, guerre, elezioni, esperimenti economici. Il popolo partecipa a questi eventi, ma con un certo distacco, non emerge in superficie, vivendo in profondità una vita completamente diversa. Due vite di una nazione, una superficiale e una più profonda, vengono vissute in direzioni a volte opposte, a volte coincidenti, ma non si fondono mai in una sola.

Il “popolo profondo” è sempre riservato, inaccessibile ai sondaggi sociologici, alla propaganda, alle minacce e ad altri metodi di studio e di influenza diretti. La comprensione di com’è, cosa pensa e cosa vuole, spesso arriva all’improvviso e in ritardo.

Pochi sociologi si prenderanno la briga di capire esattamente se “popolo profondo” equivale alla popolazione o ne è una parte e, se sì, quale. In tempi diversi, venivano considerati come tale i contadini, o i proletari, o i non appartenenti al partito comunista, o gli hipster, o gli impiegati statali. Lo cercavano, lo volevano capire da dentro, lo chiamavano “portatore di dio” [concetto espresso da Dostojevskij nei “Demoni”, ndt] o, viceversa, a volte decidevano che era fittizio e non esisteva nella realtà, iniziavano riforme improvvise senza prenderlo in considerazione, ne uscivano ammaccati, giungendo alla conclusione che “c’è qualcosa dopo tutto”. Si ritirava a volte sotto la pressione dei suoi invasori, ma ritornava sempre.

Con la sua gigantesca massa, il popolo profondo crea una forza irresistibile di gravità culturale, che tiene unita la nazione e attrae (schiaccia) verso la terra (la sua terra natia) l’élite, che di volta in volta cerca di librarsi in maniera cosmopolita.

Il concetto di nazione in tutti i suoi significati, precede quello dello stato, predetermina la sua forma, limita le fantasie dei teorici e costringe i funzionari a determinate azioni. È un potente attrattore, a cui tutte le traiettorie politiche inevitabilmente conducono. In Russia si può cominciare da qualsiasi cosa – dal conservatorismo, dal socialismo, dal liberalismo – ma si finisce sempre con lo stesso risultato, ossia con quello che abbiamo.

La capacità di ascoltare e capire il popolo in profondità e agire di conseguenza: questo è il merito unico e principale dello stato di Putin. È adeguato alle persone, il che significa che non è soggetto ai sovraccarichi distruttivi delle correnti contrarie della storia, quindi è efficace e durevole.

Nel nuovo sistema, tutte le istituzioni sono subordinate al compito principale: la comunicazione e l’interazione dei governanti con il popolo, basandosi sulla fiducia reciproca. I vari rami del potere convergono alla personalità del leader, non vengono considerati un valore in sé e per sé, ma solo nella misura in cui forniscono una comunicazione con lui. Oltre a questi, i modi informali di comunicazione funzionano aggirando le strutture formali e i gruppi di élite. E quando la stupidità, l’arretratezza o la corruzione interferiscono con le linee di comunicazione con le persone, vengono prese misure energiche per ripristinarle.

Le istituzioni politiche multilivello, copiate dall’Occidente, da noi sono talvolta considerate come parte di un rituale, introdotte più che altro per “essere come tutti gli altri”, affinché le differenze nella nostra cultura politica non diano molto nell’occhio ai nostri vicini, non li irritino e non li spaventino. Sono come un vestito buono, con cui si esce da casa – mentre a casa stiamo in pantofole.

In sostanza, la società si fida solo del leader. Non si sa se si tratta dell’orgoglio di un popolo mai sottomesso, o di un desiderio di accorciare le vie che portano alla verità o di qualcos’altro, ma questo è un dato di fatto e questo fatto non è una novità. Di nuovo c’è che lo stato non lo ignora, ma ne tiene conto e lo prende in considerazione nelle sue iniziative.

Sarebbe stato troppo semplice ridurre l’argomento alla famigerata “fede nello zar buono”. Il popolo profondo non è affatto ingenuo e non considera la bonarietà come una virtù del re. Piuttosto, potrebbe pensare di un buon governante quello che Einstein diceva di Dio: “intelligente, ma non malevolo” [Raffiniert ist der Herrgot, aber boshaft ist er nichl].

Il modello moderno dello stato russo inizia dalla fiducia e si regge sulla fiducia. Questa è la sua fondamentale differenza dal modello occidentale, che coltiva la diffidenza e la critica. Ed è questa la sua forza.

Il nostro nuovo stato nel nuovo secolo avrà una storia lunga e gloriosa. Non si romperà. Agirà a modo suo, otterrà i primi posti nella lotta geopolitica. Prima o poi, tutti quelli che chiedono che la Russia “cambi comportamento” dovranno accettarlo. Dopotutto, è solo un’illusione che abbiano una scelta.

Articolo pubblicato su Nezavisimaja Gazeta l’11 febbraio 2019
Traduzione in italiano a cura di Elena per Saker Italia

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