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il “J’accuse” di Giorgio Bianchi rivolto al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio Ho letto la prima lettera spedita da Giorgio Bianchi al direttore del Fatto, una lettera che ha tutto l’aspetto, oltre che di una accusa circostanziata ed evidente, di una supplica. È il lettore del Fatto Giorgio Bianchi infatti che scrive, più che il fotografo, il giornalista o il documentarista. È la persona che ha viaggiato in Ucraina,
Giorgio Bianchi, fotoreporter italiano autore di importanti reportage dal Maidan, dal Donbass e dalla Siria, è stato fermato all’aeroporto di Kiev: voleva partecipare alla commemorazione della strage di Odessa del 2 maggio 2014 e assistere a una manifestazione di Pravij Sektor, ma le guardie di frontiera lo hanno informato che è sottoposto a un divieto di ingresso per 5 anni e lo hanno rispedito a Roma col primo volo disponibile.
E’ da poco trascorso il terzo anniversario della Strage di Odessa del 2 maggio 2014. Questo evento rappresenta a tutti gli effetti il “punto di non ritorno” della crisi Ucraina: qualche giorno dopo Donetsk e Lugansk avrebbero votato la propria indipendenza con un referendum e la guerra civile sarebbe entrata nella sua fase più sanguinosa. Odessa è una piaga aperta nel corpo e nell’anima della nuova Ucraina. In un primo
Giorgio Bianchi, fotoreporter romano, è autore di splendidi reportages dalla Siria e dall’Ucraina. Lo sguardo di Giorgio Bianchi si muove rapido in un contesto di morte e distruzione, catturando con rara sensibilità l’umanità dietro la guerra, mostrandoci uomini e donne che combattono e sopravvivono sullo sfondo della storia che si compie, quasi sovrapposti alla storia stessa, quasi fuori posto rispetto all’enormità delle vicende delle quali si scoprono, loro malgrado, protagonisti.