I corrispondenti della Komsomolskaya Pravda sono andati in una delle officine della Repubblica Popolare di Donetsk, dove viene riparato equipaggiamento militare danneggiato o abbandonato dai soldati ucraini.

Riparando carri amati o blindati per il trasporto truppe, i prigionieri aiutano la milizia – prigionieri che appena un mese fa servivano nelle forze armate ucraine. Nel cortile dell’officina ci sono decine di carri armati, BMP (cingolati di fanteria sovietici), BTR (blindati a 8 ruote), “Ural” (camion da fuori strada), KrAZ (autocarri pesanti) e ZIL (un altro tipo di grosso camion) danneggiati. I semoventi d’artiglieria sono parcheggiati in un’altra zona: “Garofani” ed “Acacie” (benchè chiamati come fiori questi sono altri grossi cingolati d’artiglieria, simili a carri armati).

Un soldato con il nome di battaglia “Coccodrillo” guida la nostra visita. “Guardate”, dice, “Tutto raccolto dagli Ukri, incinta!”. Non l’ho capita. “Beh, due strisce bianche su ognuno: incinta!”, ride. “E’ così che chiamiamo l’equipaggiamento ucraino”. Proprio allora un T-64 passa rombando. Strisce bianche già dipinte su di esso.

“Aha! Un altro pronto e in moto” esclama Coccodrillo. “Lo abbiamo trascinato qui qualche giorno fa con un camion. Il motore era morto e gli ucraini la avevano lasciato fuggendo. Abbiamo preso il mezzo, basato sul T-72, dagli Ukrop vicino a Slavyansk; poi hanno attraversato due checkpoints con lui ed eccolo qua!”. Ancora Coccodrillo: “Su questo il generatore é andato – lo leviamo e ne prendiamo uno da un donatore”. Un paio di tizi con le tute macchiate di grasso emergono dal carro, accennano alla fiancata di un veicolo guasto, rimosso dalla sua base, in mezzo ai suoi “fratelli”: “donatori” li chiamano, materiale buono solo come parti di ricambio. Da fuori sembrerebbe trattarsi di una chiacchierata professionale in un autofficina, due vecchi colleghi al lavoro, ma Coccodrillo aggiunge: “Quei ragazzi: prigionieri. Fino a due mesi servivano in una brigata corazzata ucraina”.

Sono Ivan e Seryoga dall’Ucraina centrale.Non sembrano vittime di torture, e parlano liberamente con i giornalisti, soltanto non bisogna nominare i loro villaggi d’origine: agenti hanno già chiamato i loro parenti, suggerendo che i loro ragazzi forse hanno tradito la patria. E ci sono altri parenti dei quali i sostenitori ideologici della “Grande Ucraina” potrebbero occuparsi. Per queste stesse ragioni alla vista di una macchina fotografica voltano le spalle.

“Non abbiamo niente di cui lamentarci” dice Ivan il carrista. “Viviamo piuttosto normalmente, non in una cantina; ci danno tre pasti al giorno”

“Vi hanno messo loro alle riparazioni?”

“E’ noioso starsene seduti qua e là tutto il giorno. Ne sappiamo un po’ di attrezzatura, quindi abbiamo chiesto qualcosa da fare”

“Come siete diventati prigionieri?”

“Hanno spezzato la nostra colonna in marcia e ci hanno presi. Noi – noi non siamo dell’esercito regolare, siamo contractors. Sono entrato nell’esercito così da potermi iscrivere automaticamente all’università, e avere alcuni privilegi alla registrazione, con un anno di servizio da qualche parte. Ma per come stanno le cose, non vedrò l’università, probabilmente… Nessuno di noi era entusiasta di essere qui, ma incriminano i ragazzi che si rifiutano di andare in guerra, procedimenti penali, disertori, eccetera. E gli ufficiali proprio non stavano nella pelle, come se quelli a Donetsk fossero autentici terroristi; ammazzano addiritura i loro stessi bambini…

Allora ci hanno raccolto di notte, e siamo andati”.

“I vostri genitori – sanno dove siete?”

“Oh sì, ci telefonano”.

Ivan e Seryoga chiacchierano, ma senza fare una pausa, mentre stringono bulloni, drenano olio, ripuliscono un pezzo.

“Questo veicolo”, dice Seryoga battendo su di un blindato “era nella nostra colonna”. Si perde nei suoi pensieri, apparentemente ricordando cose che ha passato.

Auguriamo ai soldati di tornare a casa molto presto, ma loro non sembrano molto felici della prospettiva. Possiamo immaginare come verranno accolti. Ivan si infervora e ci ricorda ancora una volta di non mostrare il suo volto. “Temo che i tizi della SBU (Servizio di Sicurezza Ucraino) faranno impazzire mia moglie. Sarà qui presto, tra l’altro. Probabilmente vivremo qui, fino a che la mia Ucraina non rinsavisce.

Aleksey Ovchinnikov per la Komsomolskaya Pravda.
Pubblicato il 6/01/2015.
Traduzione a cura di Fulvio.

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