Dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha concluso i colloqui di pace multilaterali a Parigi, il messaggio dei media è stato che “nessuna linea rossa era stata superata” nei negoziati con il leader russo Vladimir Putin. Sembrava che Zelenskyj fosse molto più interessato a cercare di rassicurare gli osservatori che non aveva “capitolato” a Putin, piuttosto che impegnarsi in un dialogo autentico per risolvere il conflitto del suo paese.

Si prevede che il cosiddetto Formato Normandia, composto da Francia, Germania, Russia e Ucraina, si incontrerà di nuovo tra quattro mesi. L’incontro di Parigi il 9 dicembre è stata la prima volta in cui i leader si sono riuniti dopo una pausa di quasi tre anni. È positivo che il presidente Zelenskyj, eletto ad aprile, abbia mostrato la volontà di impegnarsi con la Russia, a differenza del predecessore Petro Poroshenko, al fine di portare la pace nell’Ucraina orientale. La regione è impantanata nella guerra civile da quasi sei anni.

Durante i colloqui di Parigi c’è stato un accordo per sostenere un cessate il fuoco nella regione ucraina del Donbass, e per estendere le zone demilitarizzate ritirando truppe e artiglieria. C’è stato anche un accordo sullo scambio di tutti i prigionieri tra le forze governative ucraine e i ribelli filo-russi nel Donbass. Tutto molto bene. Ma per quanto riguarda la piena attuazione degli Accordi di Minsk firmati nel 2015?

Questo accordo obbliga il governo di Kiev a consentire le elezioni e l’autonomia regionale nel Donbass. Obbliga anche ad un’amnistia completa per i ribelli che hanno preso le armi contro l’amministrazione di Kiev, che è salita al potere attraverso un colpo di Stato illegale sostenuto dagli Stati Uniti, nel febbraio 2014. A Kiev è stato inaugurato un regime russofobo ultra-nazionalista, intenzionato a sottomettere la regione orientale filorussa. Il drammatico cambio di regime a Kiev verso i demagoghi e i paramilitari neonazisti è stato il fattore decisivo affinché il Donbass prendesse le armi, e anche nella secessione e nell’adesione alla Federazione Russa della Crimea filo-russa, nel marzo 2014.

Purtroppo, il presidente Zelenskyj non sembra disposto ad attuare gli Accordi di Minsk che il suo predecessore ha firmato. In effetti, alla conferenza stampa conclusiva tenuta congiuntamente dai quattro leader ai colloqui di Parigi, Zelenskyj è stato costretto a provare a riscrivere Minsk. Insisteva sul fatto che le “questioni di sicurezza” venissero risolte prima delle questioni politiche. Ciò suggerisce che vuole che i ribelli nel Donbass abbandonino le armi senza che Kiev riconosca l’autonomia della regione. Zelenskyj ha anche insistito sul “non rinunciare al Donbass e alla Crimea”, e sul riprendere il controllo di tutti i confini dell’Ucraina, compresi quelli adiacenti alla Russia.

Gli Accordi di Minsk – su cui Francia, Germania e Russia concordano come essere l’unica via percorribile per la pace – non dicono nulla sulla “restituzione” della Crimea all’Ucraina. L’accordo non afferma che un disarmo deve precedere l’autonomia del Donbass.

In altre parole, Zelenskyj vuole uscire dai termini di Minsk per trovare un accordo di pace. La sua posizione non è ancora conforme agli obblighi sottoscritti dal suo governo. Forse nei prossimi mesi, il presidente ucraino potrebbe adempiere alle responsabilità come previsto dagli Accordi di Minsk.

Ma ci sono, purtroppo, ragioni per essere scettici. Questo perché l’incessante russofobia residente a Washington lascia Zelenskyj con poco spazio di manovra. Il traballante regime di Kiev dipende totalmente dal patrocinio di Washington per il suo supporto vitale finanziario dell’FMI, nonché per il sostegno militare. Zelenskyj è il presidente di uno stato vassallo, e Washington manovra i fili.

Come si è visto più che mai durante le recenti udienze di messa in stato d’accusa del Presidente Trump, il consenso a Washington è che l’Ucraina è “in guerra con la Russia”. I politici e i media americani sono convinti nelle loro illusioni da Guerra Fredda che la Russia ha invaso l’Ucraina ed è “l’aggressore” di una “nazione amante della libertà”. Questa propaganda, ovviamente, rafforza le illusioni degli ultranazionalisti ucraini che odiano la Russia, che hanno minacciato la vita di Zelenskyj se si “arrenderà” alla Russia.

Quindi, il conflitto in Ucraina non viene affrontato come quello interno che è in realtà. Al contrario, viene visto attraverso l’obiettivo russofobo come un problema esterno, presumibilmente creato dall’aggressione russa. Ciò significa che la “soluzione” consiste nel resistere alla Russia con molti più aiuti militari statunitensi, piuttosto che affrontare le questioni fondamentali della politica e delle politiche tossiche di Kiev nei confronti delle sue regioni separatiste.

La Russia è garante di Minsk, proprio come lo sono Francia e Germania. Non è una parte che ha obblighi di adempimento. Questi obblighi sono da parte dei politici di Kiev e dei ribelli nell’Ucraina orientale.

Con Washington che preme su Zelenskyj perché resista all’inesistente “aggressione russa”, significa che la ricerca della pace in Ucraina rimarrà sfuggente. La pace arriverà in Ucraina solo quando Washington smetterà di usare Kiev come merce di scambio politico per gratificare la sua ostilità da Guerra Fredda nei confronti della Russia. È improbabile che ciò accada nel prossimo futuro.

Quando Zelenskyj cerca di rassicurare che “nessuna linea rossa” è stata superata, non sta pensando ad autentici negoziati di pace. Piuttosto, sta cercando di placare i sequestratori dell’Ucraina a Washington.

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Articolo di Finian Cunningham pubblicato su Information Clearing House il 16 dicembre 2019
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.

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