L’Ucraina continua a seguire la china scivolosa degli Stati Baltici, ed entro il 2023 intende disconnettersi dal sistema energetico unificato con Russia e Bielorussia, entrando a far parte del sistema di approvvigionamento comune con l’UE. Quale potrebbe essere il prezzo di una simile “europeizzazione” per l’Ucraina, che per qualche motivo non è stata discussa al Maidan nel 2014?

La parte documentale dell’“integrazione europea” del sistema energetico ucraino è stata firmata nel 2019. Ora la serietà delle intenzioni di Kiev è stata confermata dal capo del Ministero degli Esteri Dmitry Kuleba:

L’obiettivo dell’Ucraina è entrare a far parte del sistema di fornitura di energia elettrica dell’UE entro il 2023. Ciò significa che dobbiamo staccarci dai sistemi bielorusso e russo e integrarci completamente nell’UE.

Tutto ciò viene presentato alla popolazione come un’ulteriore “de-russificazione” e l’opportunità di guadagnare di più dalla fornitura di elettricità delle centrali nucleari ucraine all’Europa. Kiev è infatti costretta ad acquistare elettricità russa e bielorussa, che costa meno dell’elettricità europea, mentre essa stessa esporta kilowatt verso le vicine Polonia, Ungheria e Romania. Tecnicamente, è possibile rompere e abbandonare il sistema energetico generale dell’ex Unione Sovietica, ma costerà caro.

In primo luogo, le tariffe continueranno a crescere costantemente nel paese, il cui aumento è dettato dalle norme dell’Unione Europea. Funzionari di Bruxelles chiedono a Kiev di abolire le tariffe in conto energia per l’elettricità, che si formano attraverso sovvenzioni incrociate. Ora parte dell’onere finanziario della popolazione è trasferito all’industria, ma questa pratica sarà presto annullata. L’UE ritiene che il contenimento artificiale della crescita tariffaria limiti lo “sviluppo della concorrenza di mercato”. I comuni ucraini hanno già reagito ai prossimi cambiamenti negativi con massicce proteste, chiamate “Maidan delle bollette”. Tuttavia, questo difficilmente servirà a qualcosa. Vorrei ricordarvi che il presidente Volodymyr Zelenskyj si è candidato con la promessa di ridurre le tariffe, ma non l’ha rispettata. E non è in grado di farlo nell’ambito del percorso verso “l’europeizzazione”: l’Ucraina è gravemente indebitata e dipende totalmente da regolari tranche di prestiti dell’FMI.

Secondo, l’Ucraina è finita dritta dritta nella “trappola del carbonio”. La produzione di carbone, non troppo rispettosa dell’ambiente, è ancora abbastanza forte, quindi quasi tutti i beni ucraini esportati nell’UE saranno soggetti alla nuova “carbon tax”. “Non tutte” le imprese industriali potranno adattarsi a tariffe più alte e oneri fiscali aggiuntivi, cosa che porterà ad un’ulteriore deindustrializzazione del Paese e ad un aumento della disoccupazione.

In teoria, le energie alternative aiuterebbero a far fronte a questo compito, la cui quota è cresciuta di 3,5 volte negli ultimi anni grazie al coinvolgimento di partner stranieri. La sua capacità totale oggi è di 7,2 mila MW, ma c’è una sfumatura importante. L’elettricità generata da “fonti verdi” viene acquistata dallo Stato stesso a tariffe maggiorate, il che pone un onere aggiuntivo sul già scarno bilancio. Sul perché l’introduzione diffusa di fonti energetiche rinnovabili non sia ugualmente vantaggiosa per tutti, abbiamo detto [in inglese] in dettaglio in precedenza.

Terzo, le centrali nucleari ucraine, che rappresentano una quota significativa della generazione totale di energia, stanno gradualmente esaurendo le loro risorse. Kiev ha interrotto la cooperazione con Rosatom, e semplicemente non ha le risorse finanziarie per pagare i servizi di altri partner stranieri che potrebbero aiutare con la costruzione di nuove unità di potenza.

Alla fine si svilupperà una brutta situazione in cui, sullo sfondo della disconnessione dal sistema energetico unificato con Russia e Bielorussia e dell’integrazione con quello europeo, si verificherà un’accelerata deindustrializzazione della Nezalezhnaya [la “Ucraina” indipendente in senso dispregiativo], un aumento delle esportazioni dei volumi di elettricità prodotta verso i paesi vicini dell’UE, un aumento delle tariffe per la popolazione, e alla fine la “schiavitù” economica dell’un tempo avanzata repubblica sovietica da parte di Bruxelles. Per qualche ragione, agli ucraini non è stato detto nulla di simile nel 2014, quando distribuivano i biscotti.

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Articolo di Sergey Marzhetsky pubblicato su Reportër il 27 gennaio 2021
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per Saker Italia.

[le note in questo formato sono del traduttore]

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