Il mondo non è tanto un palcoscenico, quanto un simulacro per quelli che lo pensano così. E se il palcoscenico va male, è giusto che coloro che vi vengono gettati lo cambino nel modo più audace e provocatorio. La politica è ora tanto una produzione da regista quanto uno spettacolo estraniante per l’elettore partecipante. Lo shock di queste formule è quando un aspirante politico decide di respingere del tutto il taglio del regista o, come nel caso dell’Ucraina, di accettarlo come una beffarda dimostrazione di fallimento. Sappiamo che è uno scherzo: vota per me in quanto vera espressione dell’autentico.

La vastità del ripudio degli elettori di domenica è sorprendente, e dice tanto del vincitore quanto del vinto. Il trionfo del comico Volodymyr Zelenskyj in un’elezione senza precedenti (quasi 40 candidati alla presidenza, e la vittoria di un candidato ebreo) è stato schiacciante, arrivando al 73% sul presidente in carica Petro Poroshenko. Presenza olografica sullo schermo – un comico che interpreta un personaggio di una serie che diventa presidente dopo che uno sfogo video sulla corruzione diventa virale – è diventato realtà. “Potrei mai immaginare che io, un ragazzo semplice di Kryvyi Rih, concorra per la presidenza contro una persona che abbiamo eletto con fiducia e presidente dell’Ucraina nel 2014?”

La speranza è spesso una valuta svalutata, ma la sua vigorosa circolazione può essere raccolta nelle misurazioni dell’opinione pubblica dell’Istituto Internazionale di Sociologia (KIIS) con sede a Kiev, condotto questo mese. Il vicecapo Anton Hrusheckyj ha riferito i risultati [in inglese] dei 2004 intervistati alla domanda “Cosa dovrebbe fare il presidente nei primi 100 giorni?”

La lista è significativamente disperata e vendicativa contro i funzionari statali: poco meno del 40% desidera una riduzione delle tariffe; il 35,5% chiede la rimozione dell’immunità per i legislatori, i giudici e il presidente; Il 32,4% auspica l’apertura di indagini e l’accelerazione di quelle attuali sui crimini e abusi legati alla corruzione; Il 23,3% spera nell’inizio dei colloqui con la Russia; il 18,4% chiede una riduzione delle retribuzioni degli alti funzionari. Tutto questo è ragionevole: Zelenskyj offre qualcosa che gli altri non hanno: una tabula rasa su cui gli elettori possono imporre la loro visione. Al contrario, Poroshenko, miliardario dei dolciumi con un retrogusto acido, offriva il solito disordine: esercito, lingua, fede.

La scopa per la pulizia è in fase di preparazione. Alcune osservazioni erano state fatte, alcune provenivano dai quartieri di Poroshenko, e dicevano che la nuova amministrazione avrebbe incluso elementi del vecchio regime. L’ex ministro delle Finanze e consigliere di Zelenskyj, Oleksandr Danyjiuk, è stato irremovibile sulla ICTV ucraina, ma non sarebbe stato il caso: “Per quanto riguarda il commento che la nuova squadra di Volodymyr Zelenskyj includerà il vecchio staff dell’amministrazione presidenziale e del Gabinetto dei Ministri… Vorrei dire che questo non è assolutamente vero, questa è una delle notizie false e storie inventate che il quartier generale [di Petro Poroshenko] sta diffondendo”.

Politici e strateghi hanno tirato fuori i loro calcolatori e sono rimasti delusi. Mosca, insieme ad altri praticanti dell’aruspicina politica, non ha visto l’imminenza di questa vittoria. Poroshenko offriva un bersaglio ideale: divisivo, amico dell’esercito, etno-nazionalista, con una fissazione anti-russa. Poteva quindi, nel tempo, logorarsi, il suo paese sarebbe stato visto come clamorosamente antisemita, fascista e in odio delle imprese dell’Unione Sovietica contro la Germania nazista. La preferenza [in inglese] sarebbe stata per Jurij Bojko, sostenuto dal filo-russo Viktor Medvedchuk. I risultati hanno dato al loro partito il 16% dei voti, rendendoli secondi dietro Servo del Popolo Zelenskyj, che ha ricevuto il 26%. Giorni non abbastanza felici, ma forse meno ansiosi.

Da ciò che può essere capito del nuovo presidente, qualche tipo di riavvicinamento al suo vicino fraterno e gigante potrebbe essere in vista, anche se accompagnata da ciò che definisce “una guerra informativa molto potente” per porre fine al conflitto orientale. Questi piccolissimi passi includono l’abolizione delle restrizioni sull’uso della lingua russa nel paese, che comporterebbe anche la fine del blocco degli scambi culturali e delle restrizioni all’accesso alle reti dei social media russi. Ma percepire un cambiamento totale su quel fronte sarebbe fare sogni nei regni della fantasia. Nelle parole del capo-portavoce del quartier generale elettorale di Zelenskyj, Dmitrij Razumkov, “Il ritorno dei territori occupati del Donbass e della Crimea deve procedere esclusivamente alle condizioni dell’Ucraina. La Russia, come sempre, sta cercando di rovesciare tutto e far tornare tutto indietro – tenendo prima le elezioni”.

Il palcoscenico in Ucraina languirà per alcuni anni, immerso nel letame della rovina e della povertà, spargendo sangue nel Donbass e saccheggiando ovunque da parte di élite che si arricchiscono. Zelenskyj si è messo in evidenza uscendo dallo schermo e salendo letteralmente su un palcoscenico dal vivo. Se sarà in grado di dirigere il proprio spettacolo, padroneggiando la sua comparsata, per così dire, sarà una meraviglia. Prima di tutto, le elezioni parlamentari sono previste ad ottobre, lasciando il premier vergine con sei mesi di potenziali ostruzioni. Poroshenko, da parte sua, promette di essere un avvoltoio che aleggia in attesa di eventuali errori: “Lascio l’incarico, ma voglio sottolineare con fermezza che non lascio la politica”.

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Articolo di Binoy Kampmark pubblicato su Counterpunch il 26 aprile 2019.
Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci su Saker Italia.

[le note in questo formato sono del traduttore]

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